Francesco Saverio, determinato a diventare un combattente dello spirito, trascorse tre mesi su una nave ammiraglia, solcando i mari per circumnavigare l’Africa e raggiungere le Indie, spingendosi infine verso terre ancora più lontane. Le sue armi erano la compassione e la dolcezza, che lo rendevano particolarmente caro ai bambini, verso cui nutriva un amore speciale. Il suo scudo era il Crocifisso, davanti al quale, secondo alcuni racconti, persino invasori ostili sarebbero stati costretti a ritirarsi.

Una rappresentazione giapponese di San Francesco Saverio, risalente al 17 ° secolo. – Wikipedia, pubblico dominio

Francesco Saverio nacque nel 1506 in Navarra, Spagna, nel castello di Xavier, vicino a Pamplona.
Era il figlio più giovane di una famiglia numerosa e parlava basco come lingua madre. A soli diciassette anni si trasferì a Parigi per frequentare l’università, dove conseguì la laurea nel 1528.
Durante il suo soggiorno nella capitale francese, incontrò un nobile connazionale, Ignazio di Loyola. Sebbene inizialmente non fosse incline a riconoscerne l’autorità, Francesco entrò a far parte del primo gruppo di sette gesuiti che, nel 1534, si impegnarono a Montmartre a dedicare la loro vita al servizio di Dio. Questo gruppo si propose di diventare una forza spirituale, pronta a intraprendere ogni missione che fosse loro affidata, inizialmente puntando alla Palestina.

Nel 1534, il gruppo venne consacrato al sacerdozio a Venezia, ma dovette superare diversi ostacoli per ottenere il riconoscimento ufficiale della loro missione.
Sei anni più tardi, nel 1540, Ignazio di Loyola affidò a Francesco Saverio l’incarico di partire per l’Estremo Oriente, insieme a padre Simone Rodriguez, per intraprendere una missione evangelizzatrice che avrebbe segnato profondamente la sua vita.

San Francesco Saverio in un dipinto di Bartolomé Esteban Murillo – Wikipedia, pubblico dominio

Francesco partì il giorno del suo trentacinquesimo compleanno, il 7 aprile 1541. Rifiutò i doni del re, accettando solo alcuni vestiti e libri, e decise di non portare un servitore, sostenendo che “la vera dignità si conquista lavando i propri vestiti e cucinando il proprio pasto senza aiuti.”
Con lui viaggiavano Padre Paolo di Camerino, un italiano, e Francesco Mansilhas, un portoghese non ancora gesuita, ma furono imbarcati su navi diverse. Francesco si trovò sull’ammiraglia della flotta, che trasportava il nuovo governatore delle Indie.

Il viaggio, durato tredici mesi, fu arduo. Dopo aver costeggiato l’Africa occidentale e doppiato il Capo di Buona Speranza, la flotta fece tappa in Mozambico per l’inverno. Da lì, navigarono verso Malindi e attraversarono l’Oceano Indiano, facendo scalo a Socotra. L’ammiraglia ospitava una varietà di persone, tra cui equipaggio, passeggeri, schiavi e condannati, che Francesco si sentì chiamato a servire. Nonostante il mal di mare, si dedicò instancabilmente: insegnava catechismo, predicava ogni domenica, curava i malati nella sua cabina trasformata in infermeria e affrontava un’epidemia di scorbuto che si diffuse tra i passeggeri.

Il 6 maggio 1542, Francesco giunse a Goa, dove i portoghesi si erano stabiliti dal 1510. Sebbene la comunità cristiana fosse numerosa, la vita religiosa era trascurata, con pochi predicatori e sacramenti poco praticati. I missionari non osavano oltrepassare le mura della città, mentre gravi abusi coloniali alienavano la popolazione locale. Era noto, ad esempio, che i padroni contassero i colpi di frusta inflitti agli schiavi usando il rosario.

Francesco si dedicò ai più emarginati: al mattino visitava prigioni sovraffollate e ospedali malridotti, mentre nel pomeriggio percorreva le strade suonando una campana per attirare bambini e schiavi al catechismo. Insegnava loro il Credo e i principi di base della fede cristiana. Ogni domenica celebrava la Messa con i malati di lebbra e predicava all’aperto. Per rendere accessibili gli insegnamenti religiosi, compose versi semplici su temi popolari, che divennero presto canti diffusi per tutta Goa.

Tuttavia, dovette affrontare difficoltà come il concubinaggio diffuso tra i portoghesi, che spesso trascuravano le donne e i figli nati da queste unioni. Sebbene non riuscisse a sradicare questa pratica, Francesco esortò gli uomini a prendersi cura delle loro famiglie, promuovendo almeno un senso di responsabilità morale.

Dopo cinque mesi a Goa, Francesco scoprì l’esistenza della comunità dei parava, un’etnia che abitava la costa indiana dei Pescatori di Perle, tra Capo Comorin e l’isola di Mannar, vicino a Ceylon (attuale Sri Lanka). I parava erano stati battezzati dai portoghesi per ottenere protezione contro gli arabi, ma non avevano ricevuto alcuna istruzione religiosa, mantenendo superstizioni e vizi. Francesco decise di dedicarsi alla loro evangelizzazione, intraprendendo una nuova missione in quelle terre lontane.

San Francesco Saverio – Conversione dei Paravars nell’India meridionale, in una litografia a colori del XIX secolo – Wikipedia, pubblico dominio

Francesco rispose al bisogno urgente del popolo parava, affrontando il viaggio per raggiungerli ben tredici volte, nonostante i pericoli. Studiò la loro lingua e iniziò un’opera di confermazione per coloro che erano già stati battezzati, dedicando particolare attenzione ai bambini. In una lettera del 15 gennaio 1544 alla Compagnia di Gesù, descrisse le grandi folle che accorrevano per essere battezzate, confessando che spesso la fatica fisica era tale da non riuscire più a muovere le braccia. I parava, appartenenti a una casta inferiore, trovavano in Francesco un sostegno che li trattava con pari dignità.

Tuttavia, incontrò poco successo con i bramini, la casta religiosa indù. Si dice che abbia convertito solo un singolo bramino, ma tra i poveri ottenne grande seguito grazie alla sua vita semplice: si nutriva solo di riso e acqua, dormiva sul pavimento di capanne modeste e condivideva la loro quotidianità. Tornò a Goa per cercare aiuto e, riorganizzato, tornò tra i parava con un piccolo gruppo di collaboratori, tra cui Francesco Mansilhas e due sacerdoti indiani. Francesco documentò l’oppressione subita dai locali a causa di portoghesi e indiani, definendola una “ferita permanente nella mia anima“.

L’operato di Francesco si estese fino a Travancore, dove, pur trovando un cristianesimo già radicato dalla Chiesa di Mar Thoma, affrontò le difficoltà di un popolo segnato da superstizioni e abusi. Visitò numerosi villaggi e, in un pellegrinaggio, raggiunse la tomba di San Tommaso a Mylapore. Tuttavia, i parava continuarono ad affrontare gravi pericoli, incluso l’attacco di tribù settentrionali. Si narra che in una circostanza Francesco, brandendo un crocifisso, riuscì a fermare un’invasione.

Peter Paul Rubens – I miracoli di San Francesco Saverio – Wikipedia, pubblico dominio

Nel 1549, Francesco partì per il Giappone, un paese ancora chiuso agli stranieri. Accompagnato da compagni giapponesi convertiti, sbarcò a Kagoshima e iniziò a studiare la lingua e la cultura locale.
Sebbene l’apprendimento del giapponese si rivelasse complesso, preparò un compendio degli insegnamenti cristiani per comunicare il messaggio della fede. In un anno, la missione contò cento convertiti. Successivamente si spostò a Hirado e a Yamaguchi, dove adottò un approccio innovativo: ben vestito, si presentò ai governanti come emissario del re del Portogallo, ottenendo il permesso di predicare e una residenza in un monastero abbandonato.

A Kyoto, invece, le difficoltà aumentarono: il disprezzo e le rigide condizioni climatiche resero il viaggio arduo. Tuttavia, Francesco riuscì a battezzare circa duemila persone, affermando che tra i non credenti i giapponesi erano “il popolo migliore“.

Dopo aver lasciato il Giappone, Francesco tornò in India per affrontare i problemi interni della missione. Si imbarcò poi per la Cina, consapevole delle difficoltà di entrare in un paese chiuso agli stranieri.

Francisco Goya – La morte di San Francesco Saverio – Wikipedia, pubblico dominio

Giunto sull’isola di Sanchnan, a pochi chilometri dalla costa cinese, si ammalò gravemente. Abbandonato dalle navi portoghesi, fu assistito solo dal fedele interprete Antonio, che descrisse i suoi ultimi momenti.

Il 3 dicembre 1552, Francesco morì in serenità, pregando fino all’ultimo respiro. Alla sua sepoltura parteciparono solo quattro persone. Il suo straordinario impegno missionario lasciò un segno indelebile, e la sua vita divenne esempio di dedizione spirituale e umanitaria.

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