I Greci arrivarono sulle coste orientali della Sicilia, dove fondarono importanti colonie come Catania, Siracusa, Gela e Agrigento. Durante il periodo di Dionigi il Vecchio, i tiranni di Siracusa cercarono di espandere il loro controllo su tutta l’isola, scontrandosi con i Fenici, una delle principali potenze del Mediterraneo orientale. Le battaglie per il predominio si svolsero ai confini delle rispettive sfere d’influenza, a Selinunte, nel sud, e a Imera, al nord (480 a.C.).

Jacques Ignace Hittorff – Tempio T a Selinunte (Sicilia), prospetto ricostruito della facciata principale (Wikipedia – Pubblico dominio)

Furono i Romani a conquistare le colonie greche in Sicilia e, dopo le guerre puniche, a impadronirsi anche dei territori cartaginesi. Da quel momento, l’isola divenne una provincia cruciale per la politica e l’economia dell’Impero Romano. Tuttavia, con l’arrivo delle invasioni barbariche in Occidente, anche la Sicilia iniziò a subito gli effetti della nuova realtà in via di sviluppo. Questo periodo, che va dal 440 al 535, vide Genserico, capo dei Vandali, estendere la sua egemonia su gran parte del Mediterraneo occidentale. Fu un colpo duro per Roma, poiché dalla Sicilia proveniva una gran parte del grano destinata a sostenere l’Italia e la capitale stessa. La dominazione vandalica durò fino al 476, quando Odoacre divenne re d’Italia. Successivamente, l’isola passò sotto il controllo dei Goti, con Teodorico il Grande che subentrò al re degli Eruli nel regno barbarico d’Italia (495).

Dopo la conquista dell’Impero vandalico d’Africa nel 534, il generale bizantino Belisario sottomise la Sicilia in un solo anno. Ebbe così inizio il processo di “bizantinizzazione“, un periodo in cui l’isola prosperò culturalmente, con letterati e studiosi di grande rilievo come i papi Agatone, Leone e Sergio, oltre a personalità come Giorgio di Siracusa. Tra i più noti vi fu anche Gregorio di Agrigento (VI secolo), le cui opere filosofiche ebbero una vasta diffusione, insieme ad altri importanti letterati come Epifanio di Catania

L’827 segnò l’inizio dell’invasione musulmana, con lo sbarco a Mazara del Vallo, il primo passo verso la conquista dell’intera isola. Palermo cadde nell’831, Siracusa nell’865, mentre le ultime roccaforti bizantine resistettero fino a molto tempo dopo. Palermo divenne la nuova capitale dell’isola, sostituendo Siracusa, e si trasformò in un importante centro culturale e religioso, con ben trecento moschee, rivaleggiando con le grandi città del mondo musulmano. Nella parte centro-occidentale dell’isola, l’influenza araba si radicò profondamente, lasciando tracce durature nella toponomastica e nell’agricoltura, specialmente nelle tecniche di irrigazione e gestione di orti e giardini.

Ritratto di Federico II con il falco dal suo trattato De arte venandi cum avibus (Wikipedia – Pubblico dominio)

La Sicilia tornò sotto l’influenza dell’Occidente con l’arrivo dei Normanni. Nel contesto della loro grande espansione, fu concepita una sorta di precrociata per liberare il Mediterraneo centrale dalla presenza musulmana. Questa impresa, guidata da Ruggero d’Altavilla, il più giovane dei fratelli, si protrasse per trent’anni, dal 1061 al 1091. Durante il regno normanno, politica e cultura prosperarono grazie al costante mecenatismo dei sovrani, che promuovevano le arti, la letteratura e le scienze.

Il matrimonio tra Costanza d’Altavilla ed Enrico VI di Svevia, figlio dell’imperatore Federico Barbarossa, segnò l’inizio della dominazione sveva in Sicilia.
Enrico discese nell’isola e fu incoronato a Palermo. Tuttavia, la figura centrale di questo periodo fu il loro figlio, Federico II. Nato da Costanza ed Enrico, Federico II trasformò la Sicilia nella base della sua politica imperiale, benché vi risiedesse raramente, essendo impegnato nelle lotte contro i comuni dell’Italia settentrionale e negli affari politici in Germania. Dopo la sua morte nel 1250, il regno meridionale passò al figlio Corrado IV e successivamente a Manfredi.

Questo periodo fu testimone di sviluppi straordinari nel campo della giurisprudenza, della letteratura latina, delle scienze sperimentali e della poesia in volgare.

Alla morte di Federico II, la corona di Sicilia passò a Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, Luigi IX il Santo. Il suo avvento fu contrastato prima da Manfredi, che fu sconfitto nella battaglia di Benevento nel 1266, e successivamente dal giovane Corradino, che dopo la sconfitta a Tagliacozzo venne catturato e giustiziato nel 1268 per ordine dello stesso Carlo. Tuttavia, la dominazione angioina fu mal tollerata dai Siciliani, che non riuscirono ad adattarsi all’arroganza dei nuovi sovrani. La rivoluzione del Vespro, scoppiata a Palermo il 31 marzo 1282, segnò lo sterminio dei Francesi e la cacciata degli Angioini dall’isola. I Siciliani scelsero come loro sovrano Pietro III d’Aragona, inaugurando una nuova fase storica.

Il regno aragonese, però, cominciò a declinare. Martino I, detto il Giovane, cercò di riconquistare il potere sull’isola, ma dovette affrontare una lunga lotta contro il potente e indomabile baronaggio siciliano. Alla sua morte, la reggenza passò a sua moglie, Bianca di Navarra, che rimase a governare come vicaria, ma si trovò a fronteggiare l’opposizione interna, in particolare da parte dell’ammiraglio Bernardo Cabrera.
La guerra civile che ne seguì portò il regno a essere declassato a vicereame, sotto il controllo della corona d’Aragona. Alfonso V il Magnanimo, tra il 1416 e il 1450, cercò di mantenere il controllo sull’isola nominando una serie di viceré selezionati accuratamente.

Alla morte di Alfonso, il regno di Sicilia venne separato da quello di Napoli e unito alla corona d’Aragona. Fu un periodo di grande crescita per la Spagna, guidata dai Re Cattolici, che si trovava a fronteggiare le minacce dell’Impero Ottomano e dei pirati barbareschi. La posizione strategica della Sicilia divenne fondamentale nella difesa dell’Occidente. Nel 1535, Carlo V visitò l’isola e fu accolto trionfalmente.

Nel Seicento, sotto la dominazione spagnola, la Sicilia visse un periodo di difficoltà economiche aggravate da carestie, che spopolarono le campagne e gettarono le città nella miseria. Nel 1647 una rivolta popolare scoppiò a Palermo, culminando con l’assalto al palazzo cittadino e la liberazione dei prigionieri. Tra le rivolte, quella guidata da Giuseppe D’Alesi, a capo delle maestranze artigiane, tentò di instaurare un governo popolare.

Il trattato di Utrecht del 1713 consegnò la Sicilia a Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, il quale giunse a Palermo nello stesso anno. Dopo un breve soggiorno, tornò in Piemonte carico di tesori, accompagnato da uomini di cultura come l’architetto Filippo Juvara. Il suo viceré, il conte Maffei, dovette affrontare una campagna militare guidata dal cardinale Alberoni, che tentò di riportare la Sicilia sotto il controllo spagnolo. La spedizione del 1718 costrinse le forze savoiarde a ritirarsi, e con il trattato dell’Aia del 1720 l’isola passò sotto il controllo dell’imperatore Carlo VI d’Austria, che nominò viceré il duca di Montelcone.

Dopo il breve dominio dei Savoia e degli Austriaci, Filippo V di Spagna conferì il regno delle Due Sicilie al figlio Carlo, che giunse a Palermo il 30 giugno 1735 per essere incoronato. La pace di Vienna del 1738 confermò il suo titolo. Carlo III cercò di migliorare le condizioni dell’isola con una serie di riforme, istituendo la “Giunta per gli affari di Sicilia” e la “Giunta per il commercio del grano”, e stipulando accordi commerciali con vari Stati africani, nel tentativo di risolvere la Sicilia dall’estrema povertà in cui versava.

Nel 1759, Domenico Caracciolo fu nominato viceré di Sicilia e introdusse importanti riforme, tra cui la riduzione dei privilegi del baronaggio e, nel 1782, la soppressione del famigerato Tribunale dell’Inquisizione.
Tuttavia, il periodo del governo Caracciolo vide anche un crescente distacco tra la Sicilia e Napoli, con un aumento delle richieste di autonomia da parte dei Siciliani. Grazie all’appoggio inglese, in particolare di Lord Bentinck, la Sicilia riuscì a ottenere una Costituzione modellata su quella inglese, approvata dal parlamento il 19 luglio 1812 e sanzionata dal re il 10 agosto.
Questa costituzione, però, fu presto rinnegata da Ferdinando I, che dopo il Congresso di Vienna del 1816, venne confermata sul trono delle Due Sicilie. Il malcontento contro la monarchia borbonica cresce rapidamente. 

Giuseppe La Masa (Wikipedia – Pubblico dominio)

I moti del 1820 furono brutalmente repressi dall’esercito borbonico, e il ripristino dell’assolutismo portò un’intensificazione dell’attività dei Carbonari. Le rivolte guidate da Domenico Di Marco a Palermo, così come quelle scoppiate a Siracusa e Catania, furono soffocate.

Nel 1848, una nuova onda di rivolte, guidata da Giuseppe La Masa a Palermo, si diffuse rapidamente in tutta la Sicilia. Venne istituito un governo provvisorio, fu convocato un Parlamento e creato un esercito per contrastare il ritorno armato dei Borbone. Tuttavia, il 15 maggio 1849, le truppe del generale Filangeri riuscirono a riconquistare Palermo. Nonostante la restaurazione borbonica, il regno rimase afflitto da cospirazioni, e molti siciliani esiliati, tra cui Giuseppe Mazzini, continuarono a sostenere la causa dell’indipendenza dell’isola.

Arriviamo così al 1860, con l’impresa di Garibaldi e il conseguente arrivo dei Savoia. La Sicilia divenne parte del neonato Regno d’Italia, entrando così in una nuova fase della sua storia. Seguì la Prima Guerra Mondiale, che segnò profondamente il tessuto sociale ed economico dell’isola, e poi il periodo del fascismo, durante il quale la Sicilia, come il resto d’Italia, subì l’oppressione del regime. Con la Seconda Guerra Mondiale, l’isola divenne un campo di battaglia strategica, finché, dopo il conflitto, venne istituita la Regione Autonoma Siciliana, nel 1946, segnando una nuova era di autogoverno e autodeterminazione per l’isola.

 

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