Una profonda trasformazione sociale ebbe luogo a seguito delle grandi scoperte geografiche, influenzata da una serie di fattori determinanti. Durante gli ultimi secoli del Medioevo, l’Europa aveva sofferto per la scarsità di metalli preziosi, una condizione che limitava la quantità di moneta disponibile e ostacolava il crescente sviluppo dei commerci. Tuttavia, con l’inizio del XVI secolo, la situazione cambiò radicalmente.

Dopo la scoperta del Nuovo Mondo, l’arrivo di oro e argento dalle Americhe iniziò a incrementarsi gradualmente. Le spoliazioni dei ricchi imperi azteco e inca permisero alle riserve europee di crescere sensibilmente. A partire dal 1545, le miniere di Zacatecas e, poco dopo, quelle immense di Potosí iniziarono a riversare in Europa quantità straordinarie di argento, cambiando per sempre il panorama economico del continente. 

Vista della miniera di Veta Grande, vicino a Zacatecas (Wikipedia – Pubblico dominio)

Dal 1503, l’oro proveniente annualmente dall’America rappresentava circa un quinto della produzione complessiva europea. Già dal 1520, l’argento americano aveva superato di tre volte la produzione annua dell’Europa. A questa ricchezza si aggiungevano i metalli preziosi ottenuti tramite contrabbando, pirateria e razzie, che sfuggivano ai controlli ufficiali.

L’afflusso massiccio di metalli preziosi provocò un loro progressivo deprezzamento. Come accade per qualsiasi bene con un’offerta sovrabbondante, il valore di oro e argento diminuì rapidamente. Ciò portò a un calo del valore reale della moneta e a un conseguente aumento dei prezzi. Questa spirale inflazionistica divenne evidente già a metà del XVI secolo: nel 1552, il vescovo Bartolomé de Las Casas notava come le grandi fortune si fossero fortemente svalutate, e nel 1560 in Spagna, il prezzo di un paio di scarpe eguagliava ormai quello che un tempo si spendeva per un intero abito.

La Spagna, pur essendo il principale punto di arrivo di queste ricchezze, fu colpita duramente dal fenomeno. Mancando di risorse naturali e di una solida industria manifatturiera, il paese era costretto a importare beni dall’estero, accumulando debiti. L’oro e l’argento spagnoli fluivano così verso altre nazioni per saldare i conti, esportando nel resto d’Europa non solo la ricchezza, ma anche l’inflazione che aveva già sconvolto l’economia iberica.

Nel Cinquecento, la Spagna si distingue come l’unico paese europeo in cui la popolazione ristagna o addirittura diminuisce, mentre in altre nazioni come Francia, Germania, Inghilterra e Italia si osserva un costante incremento demografico. Questo fenomeno attira verso la Spagna un flusso migratorio significativo, attratto dagli alti salari apparenti. Tuttavia, questa migrazione contribuisce ulteriormente alla fuoriuscita di oro e argento verso altri paesi, accelerando la circolazione monetaria e amplificando i processi inflazionistici anche al di fuori della penisola iberica.

Il rapido aumento dei prezzi, che raggiunge livelli senza precedenti, diventa il fattore determinante di una nuova distribuzione delle ricchezze, con effetti profondi sia sull’economia pubblica che su quella privata. I gruppi sociali con redditi mobili, come mercanti e imprenditori, prosperano, mentre quelli con redditi fissi, come i rentiers, subiscono un progressivo impoverimento. Le classi che dipendono da rendite stabili, incapaci di tenere il passo con l’inflazione, vedono il loro potere d’acquisto erodersi rapidamente. Allo stesso modo, chi aveva concesso in affitto terreni in cambio di canoni fissi in denaro si ritrova con entrate sempre meno sufficienti per far fronte al costo crescente dei beni e dei servizi.

Di contro, emergono nuove imprese basate sul credito, capaci di beneficiare di entrate crescenti grazie all’inflazione, mentre i debiti contratti in passato, rimasti invariati in termini nominali, diventano sempre più facili da onorare. Questo scenario avvantaggia tutti coloro che avevano obblighi finanziari fissati in somme di denaro, come canoni e censi, riducendo il loro peso economico.

In Europa occidentale, questa dinamica segna il declino della nobiltà terriera, che aveva lasciato la gestione delle sue proprietà a coltivatori obbligati a versare canoni fissi. Con l’inflazione, quei pagamenti, modesti in termini reali, non sono più sufficienti a mantenere il loro stile di vita, e la nobiltà si impoverisce. Al contrario, i coltivatori riescono a riscattarsi dagli antichi vincoli e a migliorare le proprie condizioni economiche.

In Europa orientale, invece, il contesto è opposto. L’aumento dei prezzi dei cereali sui mercati internazionali rende la terra sempre più preziosa, arricchendo i latifondisti e incentivando l’espansione delle proprietà agricole. Tuttavia, questo processo si traduce in un maggiore sfruttamento della forza lavoro, vincolando i contadini alla terra in condizioni di servitù sempre più rigide.

Così, mentre in Occidente il coltivatore si emancipa e si arricchisce, nell’Europa orientale è progressivamente oppresso, ritrovandosi intrappolato in un sistema economico che lo spoglia dei suoi diritti e lo riporta verso forme di lavoro servile.

 

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