Tra le forme più diffuse di maledizione nell’antico Egitto, vi era l’uso di iscrivere formule magiche su vasi o frammenti di ceramica, accompagnandole con il nome della persona bersaglio. Tali formule invocavano ogni sorta di sciagura e, durante appositi rituali, i vasi venivano infranti mentre si pronunciavano le potenti parole magiche, le He-kau. Questo tipo di pratica era ben noto agli archeologi moderni, siano essi studiosi seri o meno.
Uno degli episodi più celebri legati a una presunta maledizione si verificò durante la scoperta della tomba del faraone Tutankhamon da parte dell’archeologo inglese Howard Carter, in una spedizione finanziata dal magnate americano Lord Carnarvon.
Tra i reperti rinvenuti, un assistente di Carter trovò una tavoletta che, una volta ripulita e decifrata, rivelò un messaggio inquietante:
“La morte colga con le sue ali chiunque disturberà il sonno del Faraone.”
Nonostante gli sforzi iniziali per mantenere il ritrovamento segreto e nascondere il reperto, la notizia trapelò, scatenando il panico tra i lavoratori locali e alimentando le superstizioni. A peggiorare la situazione, all’interno della camera funeraria principale fu trovata una seconda iscrizione maldicente che recitava:
“Io respingo i ladri di tombe e proteggo questa hut-ka (sepolcro).”
Queste iscrizioni, unite a una serie di eventi tragici attribuiti alla “Maledizione di Tutankhamon”, alimentarono una leggenda globale. Si disse che tredici delle ventidue persone coinvolte nella spedizione fossero morte in circostanze misteriose.
Sebbene molte di queste morti fossero in realtà spiegabili (malattie, incidenti, condizioni igieniche precarie), la narrazione popolare preferì abbracciare il fascino del mistero.
Gli antichi Egizi avevano una religiosità permeata di magia e superstizione. I sacerdoti, detentori di una conoscenza avanzata, sfruttavano abilmente queste credenze per proteggere le tombe dei faraoni dai saccheggiatori. Sapevano che nessun congegno meccanico o trappola avrebbe potuto fermare un ladro determinato, ma la paura dell’ignoto e dell’incomprensibile sì.
Questa paura veniva alimentata da minacce di maledizioni e dall’uso di conoscenze tecniche avanzate.
I sacerdoti erano consapevoli degli effetti letali o debilitanti di sostanze come il radio e l’uranio, trovati nelle miniere d’oro, o delle proprietà tossiche di piante come l’oppio, l’aconito e l’arsenico. Queste sostanze venivano utilizzate per creare un alone di mistero e pericoli inspiegabili intorno alle tombe.
La “Maledizione dei Faraoni”, tuttavia, è più una creazione moderna che un autentico fenomeno antico.
L’interesse mondiale suscitato dalla scoperta della tomba di Tutankhamon, la più ricca mai trovata, fu amplificato da una stampa sensazionalista e da narratori inclini a sfruttare l’emotività e il fascino per il mistero insito nello spirito umano.
La leggenda fu poi alimentata da esoteristi e pseudostudiosi che cavalcarono la popolarità della storia, trasformandola in un mito che continua ad affascinare.
In realtà, la “Maledizione dei Faraoni” non è altro che una fantasia, alimentata dalla paura dell’ignoto e dal desiderio di credere in storie di magia e mistero.
.
.