Luigi Pirandello nacque ad Agrigento, allora chiamata Girgenti, il 28 giugno 1867. Drammaturgo, scrittore e poeta di straordinario talento, è considerato uno dei massimi esponenti della letteratura del Novecento. Nel 1934 gli venne conferito il Premio Nobel per la Letteratura, a riconoscimento del suo contributo innovativo al teatro e alla narrativa.
La giovinezza di Pirandello fu segnata da un’infanzia non sempre serena.
Egli stesso, in un’intervista del 1935, raccontò di avere avuto difficoltà a comunicare con gli adulti, in particolare con i suoi genitori, specialmente con il padre. Questa tensione familiare potrebbe averlo spinto a sviluppare una maggiore sensibilità espressiva e a osservare attentamente i comportamenti altrui per comprenderli e relazionarsi con essi.
Un ruolo significativo nella sua infanzia fu svolto da una domestica di famiglia, profondamente devota, che lo avvicinò alle pratiche religiose cattoliche. Fu attraverso di lei che Luigi sperimentò un misticismo legato sia alla religione che alle credenze superstiziose, arrivando persino a credere nella presenza degli spiriti. Questi elementi influenzarono il giovane Pirandello, accompagnandolo per tutta la vita e riflettendosi nelle sue opere.
La sua educazione cominciò con insegnanti privati, per poi proseguire in un istituto tecnico e al ginnasio. Fu in questi anni che emerse il suo precoce interesse per la letteratura, al punto che, a soli undici anni, compose la sua prima opera, intitolata Barbaro, andata purtroppo perduta.
Nel 1886, per un breve periodo, Pirandello lavorò nel commercio dello zolfo insieme al padre. Questa esperienza gli permise di entrare in contatto diretto con il duro mondo delle miniere e dei lavoratori portuali, realtà che avrebbero lasciato un’impronta indelebile nel suo immaginario narrativo.
Lo stesso anno iniziò gli studi universitari a Palermo, per poi trasferirsi a Roma, dove si iscrisse a corsi di filologia romanza. Tuttavia, un conflitto con il rettore dell’università romana lo costrinse, su consiglio del suo maestro Ernesto Monaci, a completare gli studi a Bonn, in Germania.
A Bonn, un importante centro culturale del tempo, Pirandello frequentò i corsi di filologia romanza, avendo l’opportunità di studiare con illustri professori come Franz Bücheler, Hermann Usener e Richard Förster. Nel 1891 conseguì la laurea con una tesi sul dialetto della sua città natale, intitolata Foni ed evoluzione fonetica del dialetto di Girgenti. In questo lavoro descrisse minuziosamente le varietà linguistiche della provincia agrigentina, suddividendole in aree specifiche.
Quest’attenzione alla purezza e alla struttura della lingua gli fu di grande utilità nella sua produzione letteraria, dove dimostrò un raro talento nell’uso dell’italiano e dei suoi registri.
Pirandello è noto per aver rappresentato nelle sue opere l’incapacità dell’uomo di identificarsi con un’unica personalità, esplorando il dramma della ricerca di una verità che vada oltre le convenzioni sociali e le apparenze.
Essendo siciliano, mosse inizialmente dai moduli del verismo, trattando novelle paesane che però si distinguevano per una cifra caricaturale e grottesca. Fin da subito, il suo approccio verista fu inteso a scardinare i nessi logici della realtà, mettendo in evidenza come molti di questi fossero in realtà pregiudizi borghesi.
Il contributo di Pirandello alla letteratura e al teatro fu rivoluzionario. Attraverso un linguaggio puro e diretto, unito a una profonda analisi psicologica dei personaggi, egli riuscì a rappresentare l’assurdità della condizione umana, gettando le basi per il teatro moderno e aprendo nuove prospettive nella narrativa.
Luigi Pirandello affronta sin dal suo primo romanzo, L’esclusa (1901), temi che diverranno centrali in tutta la sua produzione letteraria. La storia di una donna accusata ingiustamente di adulterio, cacciata dal marito e poi riammessa proprio quando l’adulterio lo compie realmente, rappresenta una riflessione sul contrasto tra apparenza e realtà, tra la forma imposta dalla società e la vita autentica.
Pirandello sviluppa nelle sue opere alcune tematiche fondamentali:
- Il contrasto tra apparenza e realtà: L’uomo vive in un conflitto perenne tra gli ideali che desidera realizzare e le imposizioni della realtà, che si fermano all’apparenza, costringendolo a indossare maschere per adattarsi alle convenzioni sociali. La vita autentica, rappresentata come un flusso mutevole, si oppone alle rigide “forme” che imbrigliano l’essere umano.
- L’assurdità dell’esistenza umana: Gli individui sono ingabbiati in schemi predefiniti (adultero, innocente, iettatore, ladro), che soffocano la loro complessità. Pirandello evidenzia l’imprevedibilità del destino umano, spesso attraverso situazioni paradossali che mettono a nudo la vacuità dei pregiudizi borghesi.
- La molteplicità della verità: Per Pirandello, non esiste una verità assoluta: ogni individuo percepisce una realtà diversa. Questa relatività è rappresentata dal “sentimento del contrario“, il principio su cui si basa il suo umorismo, che demolisce ogni illusione consolatoria senza scadere nella pura comicità.
La concezione dell’uomo secondo Pirandello è radicalmente relativistica: la natura appare semplice e inconsapevolmente felice, ma l’uomo, intrappolato tra istinto e convenzioni sociali, vive in un’eterna contraddizione. Egli si illude di avere una personalità definita, una “forma stabile”, ma in realtà indossa maschere mutevoli a seconda di chi lo osserva.
Parafrasando un titolo di un suo celebre romanzo, Uno, nessuno e centomila, si potrebbe sintetizzare così la visione di Luigi Pirandello sull’identità umana:
- “Uno”, perché ciascuno di noi si illude di avere una forma definita e un’identità coerente;
- “Nessuno”, perché, in realtà, non esiste una personalità unica e stabile, ma solo un vuoto dietro la maschera che indossiamo;
- “Centomila”, perché il nostro essere cambia a seconda degli occhi di chi ci osserva, assumendo infinite sfaccettature e interpretazioni.
Questo principio, che è al cuore della riflessione pirandelliana, evidenzia la natura frammentaria e relativa dell’identità, in cui l’apparenza e le convenzioni sociali giocano un ruolo cruciale nel definirci agli occhi del mondo.
Pirandello descrive l’uomo come una marionetta del caso, incapace di affermare una propria individualità. Nei suoi drammi, i dialoghi non servono a risolvere problemi, ma a rivelare l’assurdità della vita e la solitudine tragica dei personaggi, intrappolati in un’incomunicabilità profonda. La sua innovazione teatrale lo colloca accanto ai grandi esponenti del teatro dell’assurdo come Beckett e Ionesco, rendendolo una figura di rilevanza mondiale.
Il “sentimento del contrario“, che sta alla base dell’umorismo pirandelliano, avrebbe potuto portare al nichilismo, ma Pirandello lo trasforma in una chiave per comprendere e accettare l’assurdità della condizione umana. Per lui, l’arte umoristica è l’unica possibile in un’epoca decadente e relativistica: essa svela i sotterfugi e le meschinità umane, non per ridicolizzarle, ma per provare pietà verso un’umanità costretta a mentire a sé stessa e agli altri.
Pirandello non cercò mai le cause profonde dell’alienazione dei suoi personaggi, spesso appartenenti alla piccola borghesia (impiegati, insegnanti). Tuttavia, ne attribuì la responsabilità alla storia e al caso. In opere come I vecchi e i giovani (1913), individuò nel fallimento degli ideali risorgimentali e borghesi una delle radici della crisi di identità moderna.
Nonostante alcune critiche sulla sua presunta superficialità nell’analisi sociale, Pirandello seppe trasformare il malessere esistenziale in un veicolo di autoaffermazione intellettuale. La sua capacità di teorizzare la follia, rimanendo lucido, gli permise di raggiungere un successo senza precedenti.
Le sue opere teatrali, come Sei personaggi in cerca d’autore (1921), Così è (se vi pare) (1917) e Enrico IV (1922), furono acclamate non solo in Italia ma anche in Germania, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, rendendolo uno degli autori italiani più rappresentati al mondo.
Pirandello è probabilmente l’autore che meglio rappresenta la crisi identitaria dell’Italia postunitaria e le trasformazioni sociali che portarono all’avvento del fascismo. La sua critica corrosiva delle convenzioni borghesi e la sua analisi delle contraddizioni umane lo collocano accanto ai più grandi scrittori europei del Novecento, come Kafka, Camus e Sartre.
Le sue opere teatrali rimangono tra le più rappresentate al mondo, seconde solo a quelle di Shakespeare, a testimonianza della sua straordinaria capacità di esplorare l’universalità dell’esperienza umana. La sua arte, espressione del dubbio sistematico e della critica alle illusioni, continua a risuonare con forza, offrendo uno specchio in cui ogni epoca può riconoscere le proprie contraddizioni e fragilità.
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