Spesso si ignora, o si sottovaluta, il ruolo di primo piano che il Regno delle Due Sicilie ha avuto nel panorama europeo dell’Ottocento. Un regno che, sotto la dinastia borbonica, raggiunse livelli di sviluppo sociale, culturale, scientifico e tecnologico di assoluta eccellenza, lasciando un patrimonio di primati tuttora visibile e documentabile. I Borbone non furono affatto “retrogradi”, come certa retorica risorgimentale ha cercato di far credere. Al contrario, contribuirono con intelligenza e lungimiranza al progresso del proprio Stato, in molti casi superando anche i più celebrati regni italiani e stranieri.
A testimoniarlo non sono solo i dati concreti e le opere tuttora visibili, ma anche i diari di viaggio di numerosi personaggi italiani e stranieri che visitarono il Sud durante il periodo borbonico. Essi descrivono una società organizzata, dignitosa, con uno stile di vita decoroso anche per le classi più umili, una cultura vivace, un’economia solida e innovazioni all’avanguardia.
L’elenco dei primati conseguiti nel Regno delle Due Sicilie è impressionante:
![]() Reale Albergo dei Poveri – Wikipedia, pubblico dominio ![]() Primo Orto Botanico in Italia a Napoli – Wikipedia, foto di Armando Mancini riasciata con licenza CC BY-SA 2.0 ![]() 1812 Prima nave a vapore nel mediterraneo – Wikipedia, pubblico dominio ![]() 1819 Centro Sismologico in Italia presso il Vesuvio – Wikipedia, foto di Willem van de Poll rilasciata con licenza CC0 ![]() Primo ponte sospeso, in ferro – Ponte “Real Ferdinando” sul Garigliano – Wikipedia, Domenico Iannantuoni and adsic.it – Immagine rilasciata con licenza CC BY-SA 3.0 ![]() 1839 Prima Ferrovia italiana, tratto Napoli-Portici – Salvatore Fergola, L’inaugurazione – Wikipedia, pubblico dominio ![]() La riproduzione della Bayard – Primo treno italiano del 1839 (replica) nel Museo Ferroviario di Pietrarsa – Wikipedia, pubblico dominio ![]() 1858, prima galleria ferroviaria del mondo – Inaugurazione della galleria dell’orco – Wikipedia, pubblico dominio ![]() Napoli, il Teatro San Carlo – Wikipedia, pubblico dominio |
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E questo è solo un estratto da un elenco molto più ampio che testimonia la vivacità intellettuale, tecnologica e sociale del Regno borbonico.
Oltre agli innumerevoli primati, non si possono dimenticare i grandiosi complessi architettonici borbonici: la Reggia di Caserta con il suo immenso parco, proclamata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco; la Reggia di Capodimonte, il Real Sito di San Leucio, la Reggia di Carditello.
Contrariamente alla leggenda costruita nel dopoguerra risorgimentale, la cosiddetta “liberazione” del Sud non fu affatto una gloriosa impresa patriottica. Fu piuttosto un’occupazione brutale, condotta con ogni mezzo, lecito e illecito, da un regno piemontese che mirava a impossessarsi di uno Stato ricco, indipendente e pacifico. I soldati borbonici, una volta catturati, vennero deportati nei tristemente noti lager sabaudi del Nord Italia, dove molti trovarono la morte in condizioni disumane: torturati, fucilati o gettati nella calce viva.
Dopo l’unità, le ricchezze del Regno furono sistematicamente saccheggiate: l’oro delle casse fu trasferito al Nord, le industrie smantellate, i macchinari portati via. Il Sud precipitò in uno stato di miseria e sfruttamento dal quale non si è più ripreso. Non per colpa dei meridionali, né dei Borbone, ma per l’avidità e la violenza con cui venne annientato un intero sistema socio-economico.
Per “legittimare” l’annessione, si ricorse ai plebisciti, condotti però in un clima intimidatorio e senza alcuna garanzia di segretezza. Andò a votare appena il 19% degli aventi diritto. Nei seggi, presidiati da soldati armati, le urne recavano già le opzioni visibili: “Sì” e “No”, in un processo che non lasciava spazio alla libera scelta. In queste condizioni, persino i pochi voti contrari all’unificazione sorprendono per il loro coraggio.
Questa non è una difesa cieca e nostalgica, ma un invito a riscoprire con onestà storica una realtà troppo a lungo mistificata.
Il Regno delle Due Sicilie fu un modello avanzato di civiltà, brutalmente soppresso in nome dell’unità. Una ferita ancora aperta nella memoria del Sud Italia.
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