Carlo Giuseppe Ratti, nella sua biografia dedicata al pittore genovese Alessandro Magnasco, lo descrive come un “pittore di un carattere particolare nelle sue pitture”. Questa descrizione è più che appropriata per un artista tanto singolare come Magnasco, soprannominato “il Lissandrino” (1667-1749), il cui stile e soggetti lo rendono uno degli autori più originali e anticonvenzionali del tardo Seicento e del primo Settecento.
L’arte di Magnasco si discosta dalle norme accademiche e dai soggetti tradizionali della sua epoca. Invece di celebrare re, principi o santi, egli volge il suo sguardo agli emarginati e ai dimenticati: prigionieri, zingari, quaccheri, frati, galeotti.
Le sue tele offrono una finestra su un mondo fatto di sofferenza e marginalità, rappresentato con una sensibilità che va oltre i limiti dell’estetica convenzionale.
Questo approccio lo ha fatto paragonare a Fabrizio De André, celebre cantautore genovese, che, come Magnasco, ha dato voce nelle sue opere agli ultimi e ai reietti della società. Non sorprende che De André avesse una predilezione per la pittura di Magnasco
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