
Benjamin West – Aretusa – Wikipedia, pubblico dominio
Aretusa era la ninfa prediletta di Diana, dea della caccia, e trascorreva le giornate nei boschi rigogliosi alle pendici del Monte Olimpo, inseguendo caprioli e daini in compagnia delle sue sorelle silvane.
Di una bellezza rara e luminosa, Aretusa era tanto incantevole quanto schiva, e provava un senso di pudore nell’essere guardata dagli uomini.
Un giorno, durante una battuta di caccia, si allontanò troppo dal gruppo e si ritrovò da sola lungo le rive del fiume Alfeo. Le acque erano così limpide e dolci che sul fondo si distingueva chiaramente la ghiaia. Faceva caldo, l’aria era immobile e il silenzio profondo era rotto soltanto dal cinguettio degli uccelli e dal richiamo delle anatre selvatiche. Desiderosa di rinfrescarsi e forse rassicurata dall’assenza di sguardi indiscreti, Aretusa si tolse le vesti e le depose con cura su un tronco di salice spezzato. Poi, con grazia, si immerse nell’acqua.
Non aveva fatto che pochi passi nell’acqua che avvertì qualcosa di strano: la corrente iniziava a fremere, formando piccoli vortici come se danzasse attorno al suo corpo. Sembrava che il fiume stesso volesse accarezzarla, stringerla a sé. Confusa e turbata da quella sensazione, Aretusa cercò di uscire in fretta dall’acqua. Fu allora che Alfeo si manifestò: sollevandosi dalle onde, apparve sotto forma di un giovane bellissimo, dai capelli biondi e dallo sguardo innamorato.
Ma Aretusa, colta dal panico, riuscì a fuggire dalla sua presa e a correre verso la riva, nuda e ancora gocciolante. Alfeo la seguì senza esitazione, emerso anche lui dalle acque, mentre l’inseguimento si prolungava tra i sentieri del bosco. Lei correva, ma le forze cominciavano a mancarle. Sentiva Alfeo avvicinarsi, sempre più vicino, deciso a possederla. Aretusa, vergine selvaggia e pudica, non conosceva l’amore e temeva di essere violata.
Fu allora che implorò Diana di salvarla, chiedendo di essere trasformata in una sorgente e portata lontano, il più lontano possibile dalla Grecia.

Alfeo e Aretusa di Carlo Maratta (VII secolo) – Wikipedia, pubblico dominio
La dea ascoltò il suo grido: avvolse Aretusa in una fitta nebbia che la nascose agli occhi di Alfeo e, con un sortilegio, la trasformò in una fonte, trasportandola fino all’isola di Ortigia, a Siracusa.
Alfeo, perso nella foschia, cercò invano la ninfa. Quando la nebbia si diradò, al suo posto trovò soltanto una nuova sorgente che sgorgava limpida e serena in un giardino incantato.

Una foto storica della Fonte Aretusa (Carlo Brogi, 1850-1925) – Wikipedia, pubblico dominio
Comprendendo l’accaduto, Alfeo traboccò d’amore. Il suo desiderio era così puro e ardente che persino gli dèi ne ebbero pietà. Fu Zeus a concedergli il permesso di ricongiungersi alla sua amata: Alfeo scavò un passaggio sotterraneo sotto il Mar Ionio, attraversò le profondità marine dal Peloponneso e riemerse nel porto di Siracusa, accanto alla sorgente di Aretusa.
Da allora, le loro acque scorrono insieme, per sempre unite.

Bernard Picart – Alfeo ed Aretusa – Wikipedia, pubblico dominio
Oggi, la Fonte Aretusa sgorga ancora a pochi metri dal mare, sull’isola di Ortigia. Forma un laghetto semicircolare, popolato da pesci, incorniciato da piante rigogliose e da una colonia di anatre che vi ha stabilito casa. Tra il verde spicca il papiro, raro e prezioso, che cresce spontaneamente sulle sue rive. Per questo, i siracusani chiamano affettuosamente la fonte anche “a funtana re papiri”.
Luogo di incanto e memoria, la Fonte Aretusa è ancora oggi una delle mete più amate dai visitatori, custode di un amore eterno e di una leggenda senza tempo.
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