Apollo, figlio di Zeus e di Leto e gemello di Artemide, rappresenta una delle divinità più versatili e venerabili della mitologia greca.
Egli domina le sfere della musica, della medicina e della poesia, rivelandosi come la divinità illuminante che svela il volere degli dèi e disperde le ombre dell’ignoranza. Come portatore di luce, Apollo incarna anche la sapienza filosofica e religiosa, promuovendo le leggi e la fondazione di nuove città, diventando così simbolo di ordine e civiltà.
Nel corso dei secoli, Apollo è stato identificato anche come divinità solare, descritto mentre guida il sole attraverso il cielo su un carro trainato da quattro cavalli.
La sua nascita, segnata dalla difficile condizione di sua madre Leto, perseguitata dalla gelosia di Era, aggiunge un’aura di mistero alla sua origine. Quando Leto cercava un luogo dove partorire, trovò accoglienza solo sull’isola galleggiante di Ortigia, che, una volta nati Apollo e Artemide, si fissò stabilmente sul fondo del mare, divenendo “Delo” ossia “la splendente“. Dante Alighieri, poeta sommo, fu probabilmente ispirato da Virgilio nel richiamare questo mito (Eneide III, vv. 77 e seguenti).
Il centro principale del culto di Apollo era a Delfi, dove, attraverso la sacerdotessa Pizia, egli rivelava i suoi responsi agli uomini.
Dante si riferisce a lui anche come “Timbreo” (Purgatorio XII, 31), ricordando il culto tributato ad Apollo a Timbra, nella Troade. Anche questa tradizione è ripresa da Virgilio (Eneide III, v. 85 e Georgiche IV, v. 323).
Nel Paradiso della Divina Commedia, Dante invoca Apollo (Paradiso I, 13 e seguenti; Paradiso II, 7 e seguenti) non come un dio pagano, ma come emblema della forza divina, chiedendogli sostegno nella composizione dell’ultima cantica, la più impegnativa. Egli si appella ad Apollo con lo stesso fervore con cui il dio aveva trionfato sul satiro Marsia, punito per aver osato sfidarlo in una competizione musicale.
Per Dante, Apollo rappresenta un aspetto del Dio cristiano, poiché la cultura medievale interpretava il mondo pagano non necessariamente in antitesi con quello cristiano, ma piuttosto come una sua anticipazione velata.
La venuta di Cristo segna per Dante il momento di rivelazione, quando l’umanità ha finalmente accesso alla piena verità.
Così, associandolo al simbolo classico della luce, Dante concepisce Apollo come una personificazione del sole, identificato con Dio (Paradiso XXIX, 1). Apollo è altresì definito “peana” (Paradiso XIII, 25), non solo come dio, ma anche come l’inno cantato in suo onore, in un richiamo alla tradizione antica che celebra la forza e la gloria della divinità.
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vedi anche:
- Apollo e Dafne, la storia di un amore infelice
- Apollo, Leucotoe e Clizia
- Un castigo per Apollo e Nettuno