La situazione cambiò con Ippomene, che, grazie a tre pomi d’oro ricevuti da Afrodite, riuscì a distrarre Atalanta durante la corsa, facendole raccogliere i frutti e vincendo così la sfida.
Nelle Metamorfosi di Ovidio, la coppia, ingrata verso Afrodite per l’aiuto ricevuto, profanò un tempio sacro e venne trasformata in leoni come punizione. Questa versione del mito, di origine beotica, deriva da Esiodo.
In una variante arcadica, riportata da Apollodoro, il racconto si arricchisce di nuovi elementi: Atalanta, abbandonata alla nascita, fu cresciuta da un’orsa. In seguito, dimostrò la sua forza uccidendo due centauri che tentarono di assalirla, partecipò ai giochi funebri in onore di Pelia vincendo persino Peleo e non sposò Ippomene, bensì Melanione, un uomo che condivideva il suo rifiuto per il matrimonio.
Atalanta incarna un simbolo femminile legato alla libertà e al rifiuto dei valori civili tradizionali associati al matrimonio. Inoltre, appare in diversi miti: è citata da autori come Igino come una delle partecipanti alla caccia al Cinghiale di Calidone, durante la quale Meleagro le offrì la pelle dell’animale, suscitando l’ira dei suoi zii.
In altre versioni del mito, Atalanta viene indicata come madre di Partenopeo, figlio di Meleagro (secondo Igino) o di Melanione (secondo Apollodoro). Dopo la nascita, il bambino sarebbe stato abbandonato sul monte Partenio per mantenere intatta la sua immagine di vergine.