Madrid, plaza de la Cibeles – Fontana di Cibele di José Hermosilla e Ventura Rodríguez, XVIII secolo – Image by NakNakNak from Pixabay

Cibele, la Grande Madre dell’Antichità, venerata come la potente divinità anatolica, rappresentava l’essenza della forza creatrice primordiale. Madre di tutti gli dèi e, al tempo stesso, vergine inviolata, Cibele simboleggiava la sovranità femminile assoluta, un’entità che trascendeva il bisogno di intervento maschile nella creazione. Associata alle montagne e ai misteri oracolari, era il cuore pulsante di culti misterici e oracolari.

Il nome “Cibele” deriva da Kubile, un termine frigio legato a un suo importante luogo di culto.
Tuttavia, la dea era conosciuta con vari epiteti, come Berecinzia, dal nome di una regione della Frigia, e Dindimene, in riferimento al monte Dindimo. Non necessitava di un nome personale: era semplicemente “la dea”, l’incarnazione della Terra-Madre, sovrana e generatrice di vita. Intorno a lei orbitavano figure secondarie come il dio-Cielo (spesso chiamato Papas) e spiriti divini come i Coribanti, che rappresentavano il suo seguito mistico.

L’Attys Chiaramonte, esemplare antico nei Musei Vaticani. – Wikipedia, pubblico dominio

Il mito narra che Cibele si innamorò di Attis, suo paredro e devoto servitore.
Attis, di straordinaria bellezza, era profondamente legato alla dea, che gli assicurava abbondanza durante la caccia. Tuttavia, il loro legame subì un tragico destino. Durante le nozze di Attis con la figlia del re Mida, Cibele, invasa dalla gelosia, scatenò la follia tra gli invitati.
In preda al delirio, Attis si evirò sotto un pino, morendo sul posto. Addolorata, Cibele trasformò il suo corpo in un albero di pino e istituì una celebrazione annuale durante l’equinozio di primavera per commemorarlo.
Questo sacrificio trovò eco nei riti del suo culto, dove i sacerdoti si sottoponevano a castrazione rituale per imitarlo.

Il culto di Cibele era permeato da simbolismi profondamente legati alla fertilità e alla sessualità. Le sue cerimonie si svolgevano spesso in grotte o fessure montane, richiamando l’immagine simbolica dell’utero femminile.
L’iconografia della dea la ritrae accompagnata da leoni, creature che, con le fauci spalancate, evocavano il potere della natura selvaggia e la connessione con la terra. Oltre ai leoni, altri simboli includevano il velo, lo specchio, la melagrana e le spighe d’orzo, elementi associati alla fertilità e ai misteri della vita e della morte.

I rituali comprendevano processioni frenetiche accompagnate da tamburi, cembali e flauti. I sacerdoti, spesso eunuchi, si preparavano attraverso il distacco dalle tentazioni carnali e l’unione estatica con la dea. Indossavano abiti sgargianti, si truccavano il volto e portavano le immagini della dea in trionfali processioni per raccogliere offerte e compiere esorcismi.

Il culto di Cibele e Attis, originario della Frigia, si diffuse in Grecia e, successivamente, a Roma. Durante la seconda guerra punica, i Libri Sibillini predissero che Roma avrebbe sconfitto i suoi nemici solo accogliendo la “Madre degli Dèi“. Così, nel 204 a.C., la “pietra nera” simbolo della dea fu trasportata a Roma da Pessinunte. Sul Palatino fu costruito un tempio per Cibele, e i Ludi Megalenses, celebrazioni in suo onore, divennero un evento annuale.

Mantegna, introduzione del culto di Cibele a Roma. – Wikipedia, pubblico dominio

L’introduzione di questo culto a Roma rappresentò un momento unico, in quanto fu ufficializzata con una delibera statale. Per i patrizi, Cibele divenne simbolo delle loro origini troiane, contrapponendola alla plebea Cerere. In epoca imperiale, i misteri ellenistici legati alla dea assunsero la forma di una religione autonoma.

Nonostante il tramonto del culto di Cibele con l’avvento del cristianesimo, tracce delle sue pratiche si riscontrano nella cultura cristiana. L’albero addobbato annualmente richiama il pino sacro di Attis, mentre l’eucarestia potrebbe riecheggiare il rituale di consumo simbolico di carne e sangue legato al sacrificio del dio morente e risorgente. Persino il rito del sangue, in cui i neofiti venivano purificati con una pioggia di sangue di toro, evoca elementi di purificazione e rinascita presenti nei sacramenti cristiani.

Cibele, con il suo ruolo di Madre degli dèi e simbolo della fertilità e della rigenerazione, rappresenta uno degli archetipi più potenti delle religioni antiche. Il suo culto, con i suoi misteri e rituali, non solo plasmò la cultura dell’antichità, ma lasciò un’impronta duratura anche nelle tradizioni successive.
La sua immagine, una figura femminile con torri sulla testa, continua a evocare l’unione tra terra e cielo, un simbolo eterno della forza creatrice e della connessione con l’universo.

.

.

Condividi: