Quando pensiamo all’italiano, ci vengono in mente Dante, Firenze, il toscano. Ma la storia è un po’ più lunga e sorprendente.

Scribi della variegata popolazione del Regno di Sicilia dalla fine del XII secolo – Liber ad honorem Augusti di Pietro di Eboli / Petrus de Ebulo – Wikipedia, pubblico dominio
Nel Duecento, mentre il resto d’Italia parlava ancora in mille dialetti e scriveva in latino, in Sicilia succedeva qualcosa di nuovo: alla corte di Federico II, imperatore svevo, nasceva una vera e propria scuola di poeti che scrivevano in volgare. Non in latino. Non in toscano. In siciliano.

Michael Zeno Diemer – Il Cancelliere aulico ricevuto alla corte di Federico II, a palazzo della Favara di Palermo – Wikipedia, pubblico dominio
Si chiamava Scuola Poetica Siciliana e ha segnato un punto di svolta. Gente come Giacomo da Lentini (che pare abbia inventato proprio il sonetto) stava creando, di fatto, la prima forma di italiano letterario. Era un siciliano raffinato, pensato per la scrittura, con regole e stile. Una lingua vera, usata per parlare d’amore, di filosofia, di emozioni.

Sandro Botticelli – Ritratto di Dante – Wikipedia, pubblico dominio
E Dante? Anche lui riconosce il merito dei siciliani. Nel De Vulgari Eloquentia scrive che sono stati i primi a rendere il volgare “illustre“. Poi lui ha scelto il toscano per le sue opere, e quello è diventato il modello. Ma l’idea di un’italiano scritto, poetico, serio — è partita dalla Sicilia.
In breve: la lingua italiana, prima di essere toscana, è stata siciliana. Ed è bello ricordarlo.
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