La più antica denominazione attribuita alla Sicilia si trova nel VI libro dell’Odissea di Omero, dove è chiamata Thrinakìe. Questo termine, con il passare del tempo, ha subito un’evoluzione linguistica, trasformandosi nel nome più familiare di Trinacria. Osservando l’isola su una mappa, appare evidente la sua forma triangolare, un triangolo rovesciato che, nella simbologia esoterica universale, è spesso associato alla dimensione spirituale e profonda.
Accanto a queste denominazioni principali, troviamo altre espressioni che richiamano simbolismi simili: “triscele”, di origine greca, e “triquetra”, di matrice latina. Questi termini evocano un simbolismo legato alla rotazione, rappresentando il moto circolare eterno del divenire, un’idea che, secondo alcuni studiosi, può riferirsi al movimento del sole.
In epoche arcaiche, come in molte altre culture mediterranee, la Sicilia era caratterizzata dal matriarcato, con un ruolo femminile predominante e più incisivo rispetto a quello maschile. La religiosità dominante era quella dedicata alla Grande Madre, una divinità che incarnava l’archetipo dell’eterno femminino. Questa figura sacra rappresentava non solo la generazione della vita, ma anche la cultura agraria, le coltivazioni e il ciclo di fertilità legato alla terra.
La manifestazione della divinità era strettamente connessa alla pietra e alla montagna. Due luoghi principali della Sicilia, Enna ed Erice, divennero roccaforti del culto della Grande Madre fin dal Neolitico. Questi santuari inizialmente esprimevano la loro sacralità in modo diretto, grazie alla natura stessa dei rilievi montuosi. La prima epifania della Grande Madre fu, infatti, la pietra: ad Enna, la roccia chiamata ancora oggi “di Cerere” rappresentava una manifestazione sacra della dea, una cratofania o ierofania litica, il sacro che si rivela nella pietra. La robustezza e la durevolezza della roccia la rendevano un simbolo perfetto di eternità, sacralità e intangibilità.
I miti più arcaici narrano di un’epoca fuori dal tempo, un’età primordiale in cui Terra e Cielo erano indivisi, e uomini e dèi condividevano una vita comune. Questo equilibrio si interruppe bruscamente a causa di un evento traumatico, causando una separazione tra i tre livelli cosmici: cielo, terra e mondo infero. Da allora, l’umanità ha cercato di ricostruire quel legame perduto attraverso simboli come le montagne naturali o artificiali, come piramidi e ziggurat, viste come ponti rituali tra i diversi piani dell’esistenza.
In Sicilia, terra di rilievi, la Grande Madre assunse principalmente il ruolo di Dea Montagna. Ogni rilievo, sin dalla preistoria, possedeva un’aura di sacralità naturale, spesso accompagnata dalla presenza di ninfe legate alle acque. A Palermo, ad esempio, prima che il monte Pellegrino divenisse legato a santa Rosalia, era consacrato a divinità femminili come Astarte e Tanit. Simili figure si trovavano a Cefalù, dove la ninfa Diana dominava la rocca, e a Tindari, dove il culto della Madre Nera risale a tempi immemorabili.
Tra i santuari più noti, in epoca storica, spiccano Enna ed Erice. Nei pressi di Enna, nell’ombelico della Sicilia, il mito colloca il rapimento di Proserpina da parte di Ade, avvenuto nel giardino incantato vicino al lago di Pergusa, simbolo centrale della mitologia isolana.
In epoca greca, l’antica divinità siciliana venne assimilata a Demetra.
Diodoro Siculo, storico del I secolo a.C., racconta del mito legato al dolore e alla gioia di Demetra per il ritorno periodico della figlia Persefone (Core) dagli inferi. In queste narrazioni, il riso della dea, il famoso “ò ghélos gynaikòs”, assume un significato cosmico: un gesto che ricrea la spiga di grano, simbolo della rigenerazione universale. Questo mito di partenogenesi, in cui Demetra rinnova il mondo senza alcun intervento maschile, rappresenta un unicum nella storia delle religioni, paragonabile soltanto alla figura solare di Amaterasu, dea giapponese legata alla dinastia imperiale del Tenno.
Le testimonianze classiche di Diodoro Siculo e Cicerone confermano l’importanza del culto di Demetra e Core in Sicilia. Secondo Diodoro, dopo il rapimento di Persefone, Demetra, disperata, accese le sue torce dai crateri dell’Etna e vagò per il mondo alla ricerca della figlia. Durante il suo pellegrinare, beneficò coloro che le offrirono ospitalità, donando loro il grano, simbolo di vita e prosperità. Tra i popoli che accolsero la dea con grande rispetto vi furono gli Ateniesi, ai quali Demetra, dopo i Siciliani, concesse il dono del frumento. In segno di gratitudine, Atene istituì celebrazioni solenni in suo onore, tra cui i Misteri Eleusini, che divennero celebri per la loro sacralità e antichità, affermandosi come riti spirituali di rilevanza universale.
In Sicilia, i legami tra Demetra, Core e il grano si riflettevano in numerose feste e sacrifici. Il ritorno di Persefone sulla terra era celebrato durante la maturazione del grano, mentre la semina scandiva il tempo dei sacrifici a Demetra.
Tra le cerimonie principali vi erano le Thesmophoria, dedicate a Demetra; l’Anagoghé, che commemorava il ritorno di Core; la Katagoghé, che segnava la discesa della dea agli inferi; e l’Anakalypteria, in ricordo delle nozze tra Core e Ade.
, originario di Agyrion (l’odierna Agira, in provincia di Enna), sottolinea come la Sicilia fosse la terra che per prima ricevette il dono del grano da Demetra, un concetto ribadito anche da Cicerone, il quale evidenzia l’arcaicità e la rilevanza dei culti legati alla dea. È plausibile che, già prima della colonizzazione greca (VIII secolo a.C.), esistessero in Sicilia antiche divinità ctonie femminili, simboli di fertilità e rigenerazione legati alla terra e al ciclo di morte e rinascita.
Questi culti trovarono massima diffusione sotto i Dinomenidi, tra il VI e il V secolo a.C., e continuarono a prosperare durante l’epoca di Timoleonte. Dopo la vittoria sul fiume Cremiso (341 a.C.) contro i Cartaginesi, l’alleanza (symmachia) sancita dalla liberazione di Siracusa si rifletteva anche nelle emissioni monetarie: sulle monete di quel periodo comparivano il volto di Core, le fiaccole e la spiga di grano. Questi simboli, insieme alla sacralità attribuita ai centri di culto come Enna, attestano l’importanza del culto di Demetra e Persefone, che rimase centrale nella spiritualità siciliana fino al tardo periodo imperiale romano.
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