La leggenda di Donna Laura Lanza, baronessa di Carini, narra di un amore proibito e di una fine tragica.
A soli 14 anni, Laura venne costretta dal padre a sposare il barone di Carini, un matrimonio che, presto, si rivelò fonte di delusione.
Il marito, spesso assente, dedicava tutto il suo tempo alla gestione delle sue terre, lasciando Laura in solitudine. Fu così che la giovane baronessa trovò conforto in Ludovico Vernagallo, diventando sua amante.
La loro relazione segreta, però, non sfuggì all’occhio vigile del marito e del padre di Laura, e quando i due amanti furono scoperti, vennero brutalmente uccisi.

Si narra che la stanza del castello dove avvenne l’assassinio, collocata nell’ala ovest, crollò completamente. Tuttavia, secondo la leggenda, su una parete sarebbe rimasta impressa l’impronta insanguinata della baronessa. Oggi, l’unica traccia tangibile di quella tragica notte è il fantasma di Laura, che si dice vaghi inquieto per il castello, accompagnato da un misterioso simbolo: una piccola mano scolpita su una delle metope del torrione principale, proprio nella direzione dell’ala crollata.

Castello di Carini (Wikipedia – Pubblico dominio)

Fuori dal racconto leggendario, i fatti storici narrano una vicenda altrettanto drammatica. Laura Lanza era una giovane di grande valore, che avrebbe potuto portare lustro sia alla famiglia La Grua – Talamanca sia ai Vernagallo. Tuttavia, i La Grua decisero di accelerare i tempi, chiedendola in sposa per Vincenzo, figlio del barone di Carini. Il matrimonio venne celebrato il 21 dicembre 1543, quando Laura aveva solo 14 anni. Nonostante la nota simpatia tra Laura e Ludovico Vernagallo, le famiglie mantennero rapporti apparentemente cordiali. Ludovico, infatti, continuava a frequentare la casa come un membro della famiglia.

Col passare del tempo, però, gelosie e vecchi rancori emersero tra le famiglie La Grua, Lanza e Vernagallo.
Le voci, le insinuazioni e le calunnie cominciarono a circolare, fino a culminare nel tragico evento.
Un documento dell’epoca, conservato negli archivi storici, conferma che il Viceré di Sicilia informò la corte spagnola che Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli, aveva ucciso la propria figlia Laura e Ludovico Vernagallo. Questo atto ufficiale coincide con l’atto di morte della baronessa, datato 4 dicembre 1563 e conservato nell’archivio della Chiesa Madre di Carini, accanto a quello di Ludovico. Tuttavia, non esistono prove certe che tra Laura e Ludovico vi fosse una relazione amorosa; la loro uccisione potrebbe essere stata il risultato di sospetti infondati e del rigido senso dell’onore dell’epoca.

La leggenda vuole che un frate del vicino convento, informato dell’amore tra i due giovani, rivelò la relazione al padre e al marito di Laura, i quali pianificarono l’omicidio con estrema freddezza.
La notte del tragico evento, un’infame spia avvertì don Cesare che gli amanti si trovavano insieme.
Cesare, accompagnato dai suoi uomini, corse al castello di Carini e, dopo aver fatto circondare l’edificio per impedire la fuga di Ludovico, irruppe nella stanza e li sorprese. Senza pietà, uccise entrambi sul posto.

L’atto di morte di Laura Lanza e Ludovico Vernagallo, registrato nei registri della Chiesa Madre di Carini, riporta la data del 4 dicembre 1563.
Nessun funerale fu celebrato per i due amanti, e la notizia della loro morte venne tenuta segreta, per paura o per rispetto.
Luigi Maniscalco Basile racconta che la cronaca dell’epoca riportò il fatto con estrema cautela, evitando di nominare gli assassini o di specificare cosa fosse realmente accaduto. Il cronista Paruta annotò l’evento nel suo diario con queste parole: “sabato a 4 dicembre. Successe il caso della signora di Carini“. Nonostante l’accortezza nel trattare la vicenda, la notizia si diffuse rapidamente, e il tragico destino della baronessa di Carini divenne di pubblico dominio.

Nel corso del tempo, la memoria dell’evento si è cristallizzata in una ballata popolare, raccolta dal Salomone Marino nel XIX secolo, che rivive l’orrore del delitto:

“Vju viniri ‘na cavalleria
chistu è mè patri chi veni pri mia!
Signuri patri, chi vinistivu a fari?
Signura figghia, vi vegnu a ‘mmazzari.
Signuri patri, aspettatimi un pocu
Quantu mi chiamu lu me cunfissuri.
Habi tant’anni ch’un t’ha confissatu,
ed ora vai circannu cunfissuri?
E, comu dici st’amari palori,
tira la spata e cassaci lu cori;
tira cumpagnu miu, nun la sgarràri,
l’appressu corpu chi cci hai di tirari!
Lu primu corpu la donna cadìu,
l’appressu corpu la donna muriu.”

Dopo l’omicidio, il Viceré di Sicilia adottò le misure previste dalla legge, bandendo don Cesare Lanza e il barone di Carini, e confiscando i loro beni. Tuttavia, per discolparsi, Cesare Lanza presentò al re di Spagna un memoriale in cui giustificava il suo gesto come una questione d’onore, sostenendo di aver agito dopo aver sorpreso la figlia in flagrante adulterio.

Così, la tragica storia di Laura Lanza continua a vivere sospesa tra leggenda e realtà, immortalata nelle cronache e nei versi popolari che narrano l’amore e la morte della baronessa di Carini.

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