Secondo gli antichi testi, i leggendari giardini pensili di Babilonia erano l’unico luogo della città dove si era fatto largo uso della pietra. Lo storico greco Erodoto, sempre affascinato dai dettagli più fantasiosi, dedicò ampio spazio a questa meraviglia che i poeti del tempo annoveravano tra le sette meraviglie del mondo antico.

Molto tempo fa, nella fertile terra di Babilonia, regnava un sovrano potente: Nabucodonosor II. Egli prese in sposa una principessa straniera, bella e malinconica, che aveva lasciato dietro di sé le montagne verdeggianti e i giardini rigogliosi della sua patria. La pianura assolata di Babilonia non le bastava, e la nostalgia la consumava.

Per amore, il re decise di donarle un angolo del suo mondo che le ricordasse casa. Ordinò ai suoi architetti di creare i giardini più belli mai visti: un’opera maestosa, che unisse la potenza dell’ingegneria alla grazia della natura.
Così sorsero i giardini pensili di Babilonia, una meraviglia sospesa tra cielo e terra. Terrazzamenti colossali furono innalzati, e su di essi vennero piantati alberi da frutto, fiori profumati, arbusti esotici e fontane zampillanti. Si dice che raggiungessero l’altezza di un moderno palazzo di trentacinque piani.

Babilonia secondo una interpretazione del XX secolo – Wikipedia, pubblico dominio

La loro costruzione fu un’impresa titanica. A differenza di oggi, non esistevano macchine o gru: pesanti rocce e blocchi di pietra venivano trasportati per lunghe distanze. I muri, le terrazze e le fontane vennero realizzati con abilità ingegneristica sorprendente. Per mantenere rigogliosa quella lussureggiante oasi, era necessario pompare l’acqua da fiumi lontani, sfidando le leggi della natura con ingegnose tecniche idrauliche.

Anche se non sappiamo con certezza quanto ci sia di vero in queste storie, antichi scritti testimoniano l’esistenza dei giardini. E le scoperte archeologiche nella pianura irachena – pozzi, condotti, cisterne – sembrano confermare che un sistema ingegneristico straordinario si celasse sotto il mito. In realtà, i giardini non erano sospesi nel vuoto, ma poggiavano su una serie di terrazze e architetture sopraelevate.

“I giardini galleggianti di Babilonia”, in: Humphrey Prideaux: ”Vecchio e nuovo testamento in un collegamento portato con la storia ebraica e vicina alla storia di Völcker” Altre edizione, Dresda, J. M. Lobeck, 1726 – Wikipedia, pubblico dominio

Fu l’archeologo tedesco Robert Koldewey, dopo anni di scavi e studi accurati, a concludere che le strutture a volta situate nei pressi della Porta di Ishtar costituivano la base dei famosi giardini pensili.

Modello della Porta di Ishtar al Pergamonmuseum di Berlino – Foto: sporstModel of the Ishtar Gate at Pergamonmuseum Berlin, rilasciata con licenza CC BY 2.0

La Porta di Ishtar, monumentale e maestosa, era l’ingresso cerimoniale della città. La strada processionale che la attraversava era larga ventidue metri, fiancheggiata da 120 leoni in rilievo, dipinti di bianco, rosso e giallo su piastrelle smaltate azzurre.
Ogni leone, con le fauci spalancate, sembrava vegliare sul passaggio dei cortei.
La porta stessa era affiancata da due imponenti torri e decorata con raffigurazioni di tori e draghi sacri, disposti secondo uno schema alternato: se ne contavano circa una trentina.

Antonio Tempesta – I giardini pensili di Babilonia – Wikipedia, pubblico dominio

Questa magnificenza rifletteva lo stile dell’arte neo-babilonese, che si distingueva nettamente da quella assira. Mentre l’arte assira prediligeva la narrazione storica e la celebrazione del sovrano, con rilievi scolpiti nella pietra, quella babilonese preferiva la ripetizione di motivi simbolici, decorativi, ottenuti con l’uso di mattoni smaltati dai colori sgargianti. La decorazione non raccontava, ma rivestiva le strutture come un drappo cerimoniale, mascherando l’architettura con immagini luminose e astratte, capaci di evocare un mondo sacro e lontano..

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