Un lavoro in prosa rimata, anche se libera, di Sandro Boccia
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Nello scenario del raffinato tavolo culinario di Expo
c’è anche (aggiungi un posto a tavola) il melodramma, pensate un po’:
Violetta canterà il suo appello d’amore per Alfredo sino in fondo
mentre la gelida manina di Mimì si lascerà riscaldare;
l’eco di una musica che ancora incanta il mondo
si spanderà dai teatri con l’illusione che galleggia sul mare,
di un sussulto risorgimentale per la Patria “sì bella e perduta”
e purtroppo oggi delle mazzette e dei ritardi in un paese in libera caduta!
Da non dimenticar poi l’impasto con pomodoro e mozzarella
che fa coppia con il Barbiere di Siviglia, opera molto bella
del buon Rossini che affermava che lo stomaco è di musica maestro
che sprona l’orchestra alla gran passione, diretta dal direttor con estro.
E che dir dell’incompiuta Turandot pucciniana seguita da Bohème
e dai verdiano Otello e Falstaff, dalla Norma di Bellini e dal che freme
verismo di Cavalleria Rusticana e dei Pagliacci? E del centro del cuore
di donizzettiana memoria con la Lucia di Lamermoor e dell’Elisir d’amore?
Se c’è un direttor artistico che ha creduto nell’abbinata melodramma-expo
questi risponde al nome di Riccardo Muti che afferma, questo io ben so,
che il melodramma non è morto nè quello della tradizione ancora
da scrivere, melodramma che nasce con Monteverdi nel 600, alla bonora,
con l’Orfeo ove parola e musica vanno in scena, a braccetto
e che ha generato poi musical e cinema a mo’ di minuetto.
La verità è che siamo il Paese del melodramma, sia nel male che nel bene,
e speriamo ora che padiglioni, pasta e pizza ci faccian ritrovare la coscienza
del nostro tesoro musicale perchè mangiare, amore, con gioia e pene,
cantar e digerire son i quattro atti dell’opera buffa che, come semenza,
si chiama vita e che svanisce come le bollicine dello champagne, a razzo,
e chi la lascia fuggire senza aver goduto è veramente un personaggio pazzo!
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