Fantasiosa ricostruzione di un mammut colombiano cacciato dai paleoamericani. – Wikipedia, pubblico dominio

L’Uomo di Clovis, vissuto tra 11.500 e 13.000 anni fa, popolava un mondo in cui giganteschi mammut, bisonti colossali e temibili tigri dai denti a sciabola dominavano il paesaggio. Questo popolo preistorico, rinvenuto per la prima volta a Blackwater Draw, vicino alla città di Clovis, nel Nuovo Messico, si distingue non solo per la sua abilità nella caccia, ma anche per le sue conoscenze avanzate, come la capacità di scavare pozzi per l’acqua.
Tuttavia, a migliaia di anni di distanza, sappiamo ancora poco di questo popolo, considerato uno dei più antichi abitanti delle Americhe.

L’espansione dei Clovis iniziò probabilmente quando un gruppo di cacciatori attraversò un corridoio libero dai ghiacci, lungo circa 2000 chilometri, che si estendeva dall’Alaska fino alle Grandi Pianure nordamericane. Non sappiamo se questo viaggio fosse dettato dalla ricerca di selvaggina o dal racconto di terre ricche di risorse. È possibile che altri li avessero preceduti, tornando con storie di abbondanza e spingendo il gruppo a intraprendere la stessa avventura.

Le difficoltà del viaggio non erano poche: gelide temperature, terreni inospitali e la perdita di compagni lungo il cammino. Tuttavia, una volta giunti nelle pianure, questi cacciatori trovarono un paradiso naturale. In un territorio popolato da mastodonti, cammelli, mammut e altri grandi mammiferi, i Clovis si affermarono come predatori di successo, adattandosi rapidamente e sfruttando le risorse apparentemente infinite che li circondavano.

Secondo il modello elaborato dall’archeologo Paul S. Martin, i Clovis si diffusero velocemente, raggiungendo il Golfo del Messico in 350 anni e la Terra del Fuoco in circa mille anni. La loro espansione si mosse come un’onda che spazzava via le grandi prede. La caccia intensiva, unita alla crescita demografica, portò rapidamente molte specie sull’orlo dell’estinzione. Nonostante la grande abbondanza di fauna, la percezione di risorse inesauribili spinse i Clovis a sfruttare le prede senza riserve, come accade quando un nuovo predatore si insedia in un ecosistema.

Il loro impatto fu devastante: mastodonti, bradipi giganti, gliptodonti e altre specie scomparvero nel giro di pochi secoli. Studi recenti hanno confermato la presenza di strumenti litici simili a quelli dei Clovis fino in Patagonia, risalenti a circa 10.700 anni fa, a testimonianza della loro diffusione capillare.

Paleoamericani cacciano un glyptodonte. Illustrazione di Heinrich Harder, 1920 circa. – Wikipedia, pubblico dominio

Il dibattito sulle cause dell’estinzione della megafauna rimane aperto. Secondo molti ricercatori, l’attività di caccia dei Clovis giocò un ruolo centrale. Basta una riduzione critica nel numero di esemplari perché una specie diventi vulnerabile, soprattutto quando gli individui rimanenti si trovano isolati. Inoltre, pratiche come l’uso del fuoco per stanare le prede o ripulire la vegetazione potrebbero aver ulteriormente aggravato la situazione.

Tuttavia, non tutte le specie si estinsero. Mammiferi come alci, caribù, orsi grizzly e buoi muschiati, già abituati alla presenza umana grazie alla convivenza con i Sapiens in Asia, sopravvissero.
Gli oppositori della teoria della “strage preistorica” suggeriscono che i cambiamenti climatici alla fine dell’era glaciale possano aver contribuito all’estinzione. Tuttavia, questi cicli climatici si erano verificati anche in passato senza provocare effetti così drastici.

Charles R. Knight – Ricostruzione di Mastodons americani (Mammut americanum).- Wikipedia, pubblico dominio

La storia dei Clovis è un esempio delle dinamiche che si ripetono nella storia umana: l’illusione di risorse illimitate porta a una crescita incontrollata, seguita da crisi quando quelle risorse iniziano a scarseggiare. Dopo circa 9.000 anni, i Clovis diedero origine a una serie di culture paleo-indiane, che si evolsero nelle numerose tribù indigene nordamericane. Nel frattempo, la cultura dei Clovis stessi scomparve, lasciando dietro di sé una lezione sul fragile equilibrio tra uomo e natura.

La loro vicenda non è solo una finestra sul passato, ma anche un monito per il presente: ogni volta che l’umanità si trova di fronte a risorse apparentemente illimitate, dall’agricoltura all’industria fino alla tecnologia moderna, tende a ripetere lo stesso errore.
Una crescita incontrollata, alimentata dall’illusione di abbondanza, rischia sempre di trasformarsi in un problema tanto grande quanto le risorse che inizialmente sembravano inesauribili.

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