Il bisogno di organizzare e dominare il tempo, creando categorie cronologiche come giorni, mesi e anni, è una costante nella storia dell’umanità. Ogni grande civiltà, sia antica che moderna, ha sviluppato calendari più o meno complessi per regolare le attività quotidiane, specialmente in ambito agricolo e rituale.
Grazie al “controllo” del tempo (e anche dello spazio, come testimonia l’invenzione dei punti cardinali), l’uomo è riuscito a creare simboli e rituali che gli hanno fornito un’identità e una collocazione nel cosmo.
Questo processo ha permesso di camminare nella storia con consapevolezza.
Le proprietà vitali attribuite al Sole hanno spinto l’uomo a studiare i fenomeni naturali legati alla sua presenza e ciclicità, codificandoli in rituali e pratiche che trovano, con caratteristiche simili, in molte culture. Questi culti solari, infatti, riflettono la profonda connessione tra il Sole e il ciclo vitale, un simbolismo universale che abbraccia molteplici civiltà, ciascuna con i propri rituali.
Il ciclo di alternanza tra giorno e notte, caldo e freddo, fenomeni naturali e ciclici, è stato interpretato dall’uomo attraverso l’identificazione delle stagioni, ognuna con specifiche qualità e rituali che ne garantissero l’equilibrio e la ripetizione. Questo schema di periodi, fondato sull’osservazione dei cicli naturali, ha dato origine a pratiche rituali che, con il tempo, sono divenute festività, soprattutto nelle tradizioni popolari delle diverse sococietà.
Un esempio significativo di tali celebrazioni è rappresentato dalla festa che oggi, nella cultura occidentale e cristiana, corrisponde al Natale, ma che affonda le sue radici in tradizioni molto più antiche e diffuse.
Questo evento coincide con il solstizio d’inverno, il momento in cui la notte raggiunge la sua massima durata. Nelle scienze astronomiche e nelle religioni pagane, il solstizio d’inverno è convenzionalmente fissato il 21 dicembre. Tuttavia, il fenomeno celeste dell'”inversione apparente del moto solare“, quando il Sole sembra riprendere il suo cammino verso giornate più lunghe, si verifica solo alcuni giorni dopo, generalmente intorno al 24 o 25 dicembre, rafforzando la sacralità di questo periodo.
È il periodo in cui il Sole sembra “fermarsi” prima di invertire il proprio cammino, posizionandosi alla massima distanza dall’Equatore. Questo evento astronomico ha assunto un forte valore simbolico, rappresentando il momento in cui il Sole, raggiunto il culmine della lotta tra luce e oscurità, diventa “invictus” (invincibile) e riprende forza attraverso una nuova “nascita”.
A Roma, questa rinascita era celebrata come il “Natale del Sole Invincibile”, una vittoria simbolica del Sole che segnava la fine della lotta eterna tra luce e tenebra, vita e morte.
Nella storia umana, la data del 25 dicembre ha così mantenuto una forte valenza simbolica, unendo molti miti solari attraverso un filo comune di significati e tradizioni. Il Natale cristiano, quindi, non è un fenomeno isolato ma si inserisce in un contesto culturale antico, con radici che affondano nelle civiltà della Mesopotamia, Persia, Siria, Egitto e Roma, fino ai Celti e all’India. Questi dati, ricchi di simboli e significati, testimoniano l’universalità del culto solare e della sua celebrazione. come momento culturale significativo.
Divinità e figure mitologiche di diverse culture, come il dio Horus nell’antico Egitto, Mitra in Persia e India, Huitzilopochtli tra gli Aztechi e il dio celtico Yule, hanno una nascita intorno al 25 dicembre, celebrata come momento di grande importanza. Anche eroi mitici come Krishna, Zarathustra, Adone e Dioniso vengono associati a questa data, simboleggiando una rinascita o rinnovamento spirituale.
Il Natale, celebrato come festa della rinascita e del Sole, ha radici profonde nelle antiche tradizioni precristiane, successivamente indicato dalla Chiesa come “pagane”. Queste culture, sebbene molto diverse tra loro, non erano affatto “agresti” nel senso dispregiativo del termine. Anche laddove il Cristianesimo si è ispirato ad esse, anche solo per contatti indiretti, ha attinto a civiltà che possedevano pratiche culturali altamente sviluppate e articolate. Queste tradizioni antiche esprimevano una visione del mondo complessa, arricchita da rituali e simbolismi profondi, che celebravano il ciclo della natura e il sacro attraverso rituali sofisticati, influenzando così vari aspetti della nascente tradizione.
Huitzilopochtli, il dio azteco della guerra, è strettamente associato al Sole.
Il suo nome, “colibrì del sud”, deriva dalla credenza azteca che gli spiriti dei guerrieri caduti in battaglia accompagnano il Sole nel suo viaggio attraverso il cielo per quattro anni. In alcuni miti, Huitzilopochtli è in continua lotta con il fratello Quetzalcoatl, il dio che ha dato origine al mondo.
Secondo la leggenda, Huitzilopochtli nacque dalla dea Coatlicue (veste di serpenti), che un giorno trovò delle piume di colibrì sul suo ventre e, poco dopo, diede alla luce il dio.
Un’altra leggenda racconta di come Huitzilopochtli guidò gli Aztechi verso la fondazione della loro grande città, Tenochtitlán. Il dio indicò loro di stabilizzarsi dove avrebbero visto un’aquila posata su un cactus. Quando finalmente trovarono il segno, gli Aztechi poterono fermare il loro viaggio e insediarsi in quel luogo. Questo mito è legato a un evento storico avvenuto nel 1325, quando gli Aztechi, respinti dalla tribù Culhua, trovarono rifugio su un’isola in mezzo a un lago e vi fondarono Tenochtitlán, che sarebbe diventata la capitale del potente impero azteco.
A Babilonia, già intorno al 3000 a.C., durante il periodo che oggi coincide con il Natale, veniva celebrato Shamash, il dio del Sole. Oltre a simboleggiare il Sole, Shamash era associato alla giustizia e alla chiaroveggenza: grazie alla sua natura solare, si credeva fosse in grado di vedere tutto, incluso il futuro.
Accanto al culto di Shamash, si sviluppò anche la venerazione della Regina del Cielo, Isthar, e di suo figlio Tammuz.
La nascita di Tammuz venne celebrata proprio durante il solstizio d’inverno. Rappresentato come un bambino, il dio solare Tammuz era conosciuto anche con il nome di Yule, e il “Giorno di Yule” era festeggiato a Babilonia il 25 dicembre. Questo evento segnava simbolicamente la rinascita del Sole e veniva commemorato con rituali che avrebbero poi influenzato molte tradizioni successive.
Le tracce dei culti babilonesi sono visibili anche nella civiltà egizia, dove il dio solare Horus veniva rappresentato come un bambino. Durante le celebrazioni in suo onore, i sacerdoti si riunivano nei templi e attendevano la mezzanotte per proclamare che una vergine aveva dato alla luce il Sole. Tra il 24 e il 25 dicembre si svolgevano solenni cerimonie dedicate a Horus e alla madre Iside. Documenti risalenti al 1400 a.C. raffigurano Horus come un Dio Bambino.
Il padre divino di Horus era Osiride, con cui Horus si identificava, affermando “Io e mio padre siamo Uno”. Iside, sua madre, avrebbe concepito Horus in modo virginale, come preannunciato dal dio Thot, una scena che appare su edifici del tempio di Luxor, datati al 1500 a.C.
Si narra che Horus sia nato in una grotta, annunciato da una stella d’oriente, e adorato da pastori e da tre saggi che gli portarono doni. Durante la sua vita, Horus ricevette un battesimo officiato da Anup, che successivamente venne decapitato.
Horus, insieme a Iside e Osiride, forma quella che viene considerata la trinità egiziana. Osiride, già venerato nelle epoche arcaiche, era anch’esso associato al Sole. Era visto come il Dio che soffrì e morì sulla Terra, e si racconta che alla sua morte il cielo si oscurò, segnando il profondo legame tra il dio e i cicli di vita e di morte.
Un altro antico culto legato alla venerazione del Sole è quello del dio indiano Mitra, risalente a un’epoca molto antecedente alla nascita di Cristo, collocandosi intorno al 1200 a.C. in India.
Le prime tracce di questa tradizione si trovano nel sacro Rig Veda indiano, dove si descrive la coppia divina Varuna-Mitra, simbolo rispettivamente del buio e della luce, dell’interiorità e dell’esteriorità del mondo. Nel vasto corpus vedico emerge anche il mito di Krishna, che riporta un episodio affine a quello della nascita di un essere divino da una vergine. Nel testo si legge: “Mahadeva, il Sole dei Soli, le apparve come un raggio folgorante in forma umana, ed ella concepì il figlio divino”. La vita di Krishna è caratterizzata da aspetti che richiamano profondamente la figura di Cristo, tanto che alcuni studiosi hanno rilevato una somiglianza linguistica tra il nome di Krishna e quello di Cristo, suggerendo un legame etimologico tra le due denominazioni.
In Mesopotamia, accanto alla figura di Mitra, emerge quella del profeta Zarathustra, nato nel 714 a.C. in Persia, durante il periodo natalizio. Considerato figlio del Sole, e quindi di Mitra, Zarathustra era venerato anche come incarnazione del Sole stesso. La sua missione principale fu quella di opporsi al politeismo delle tribù nomadi, promuovendo un codice di leggi morali che faciliti il passaggio verso una società stabile basata sull’agricoltura. La religione promossa da Zarathustra era monoteista e universale, centrata sui principi del “giusto pensiero, giusto parlare, giusto agire”, secondo la volontà del suo padre divino, che successivamente prenderà il nome di Mazda
Con la conquista persiana di Babilonia, il mitraismo entrò in contatto con le religioni mesopotamiche e con quella ebraica, influenzando poi anche Roma e lasciando tracce significative nel primo cristianesimo. Sebbene il mitraismo si sia diffuso soprattutto in Persia, le sue origini rimangono dibattute: alcuni studiosi lo ritengono derivato dalla mitologia indiana, mentre altri sostengono che sia un fenomeno indipendente nato nella regione mesopotamica
Anche nel culto mitraico, il Dio nasce da una vergine, è chiamato il “buon pastore”, circondato da dodici compagni, compie miracoli e risorge dopo tre giorni dalla sepoltura, un evento che i fedeli celebravano annualmente. Il culto si svolgeva in grotte o luoghi sotterranei, e l’iniziazione prevedeva un battesimo con acqua consacrata e un pasto comunitario. Mitra, soprannominato il “Salvatore”, ascendeva al cielo su un carro solare, un tema presente anche nei Rig Veda indiani. L’Avesta, il testo sacro di questa religione, esercitò una profonda influenza sia sulle religioni presenti a Roma sia su quella araba.
Questa decisione seguì la vittoria di Aureliano nella battaglia di Emesa nel 272 d.C., dove, secondo il suo racconto, il Dio Sole gli aveva preannunciato il trionfo. Per consolidare il culto, l’imperatore trasferire anche la casta sacerdotale di Emesa nella capitale.
Dopo questo viaggio nella storia, è il momento di capire come il Natale sia diventato una festa cristiana. Il primo passo formale fu compiuto dall’imperatore Costantino, che decise di far coincidere il solstizio d’inverno pagano con la nascita di Cristo, trasformando la festa del Sol Invictus del 25 dicembre in una celebrazione cristiana.
Nel 337 d.C., Papa Giulio I ufficializzò questa data e, nel 354, il 25 dicembre appare per la prima volta in un calendario liturgico romano come festività cristiana.
Successivamente, nel 376, il culto di Mitra fu abolito a Roma per ordine del prefetto, e l’editto di Teodosio del 392 vietò i riti pagani, chiudendo definitivamente le celebrazioni in onore di Iside, madre di Horus. Infine, nel 536, l’imperatore Giustiniano ordinò la chiusura dell’ultimo tempio di Iside in Egitto, lasciando così spazio all’affermazione del Natale cristiano in tutto l’Impero.
Prima della canonizzazione, i primi cristiani celebravano la nascita di Cristo in date diverse: San Cipriano la fissava al 28 marzo, Sant’Ippolito al 23 aprile, mentre Clemente Alessandrino indicava il 20 maggio, il 10 gennaio o il 6 gennaio. Quest’ultimo dato si diffuse nell’Oriente cristiano e venne adottata anche a Roma fino al cambiamento introdotto da Costantino e confermato da Papa Giulio I. Ancora oggi, alcune Chiese cristiane, come quella ortodossa, copta e armena, celebrano il Natale il 6 gennaio, con l’Epifania che simboleggia l’Annunciazione della nascita di Cristo.
Le Chiese della Riforma, in particolare i Calvinisti, accusarono la Chiesa di Roma di aver ceduto al paganesimo, ritenendo che la festa natalizia si fosse contaminata con tradizioni pagane locali, specialmente tra i neoconvertiti. I riformati vedevano nel Natale cattolico un ritorno ai culti solari di Babilonia, ripresi dai romani. Il Parlamento inglese vietò la celebrazione del Natale, considerandolo una festività pagana, e nelle colonie americane, soprattutto tra i puritani, il Natale non fu celebrato fino a tempi relativamente recenti.
Fu solo nell’Ottocento che il Natale tornò ad essere una festa cristiana in Europa e in America, arricchendosi di nuovi elementi che hanno contribuito a formare le celebrazioni attuali. L’albero di Natale, il presepe e altre tradizioni popolari hanno trasformato il Natale in una festività ricca di simboli estranei alla religione cristiana, unendo persone con tradizioni anche molto distanti tra loro.
Queste corrispondenze mitologiche e simboliche dimostrano come, nella storia dell’umanità, nessuna tradizione sia nata isolatamente. Al contrario, simboli e bisogni universali hanno garantito una continuità storica che accoglie le culture umane. Oggi, quindi, il Natale può essere non solo un momento di fede, ma anche un’occasione per riflettere sulle nostre identità plurali, spesso influenzate da scelte politiche e sociali che hanno imposto visioni esclusive.
Il contatto culturale e gli scambi che ne derivano non dovrebbero essere visti come motivo di conflitto o condanna, ma come opportunità per comprendere e rispettare tutte le relative tradizioni.
Il Natale rimane dunque una data magica, simbolo di una nuova vita colma di speranza. Esso rappresenta per l’uomo un momento di rigenerazione, in cui ogni cosa nel mondo si rinnova, come un fuoco che arde in eterno, alimentato costantemente.
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