Il Santo Graal è uno dei miti più affascinanti e duraturi della tradizione occidentale. Simbolo di sacralità e mistero, il Graal evoca immagini di cavalieri, avventure epiche e profonde ricerche spirituali.
Ma cosa si cela dietro questa leggenda? È un semplice frutto della fantasia medievale, o nasconde radici storiche?
In questa sede scriviamo del Santo Graal nel suo intreccio tra mito, religione e storia.

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La parola “Graal” deriva probabilmente dal termine latino gradalis, che indica un piatto o una coppa. La leggenda ha origine nel Medioevo, quando il Graal comincia a essere descritto come il calice usato da Gesù Cristo durante l’Ultima Cena e successivamente come il recipiente che raccolse il suo sangue durante la crocifissione.

Le prime menzioni del Graal si trovano nei poemi cavallereschi del XII secolo, in particolare nel Perceval ou le Conte du Graal di Chrétien de Troyes.

James Tissot – Giuseppe d’Arimatea – Brooklyn Museum – Wikipedia, pubblico dominio

Successivamente, autori come Robert de Boron svilupparono il tema, associando il Graal alla figura di Giuseppe d’Arimatea, che si dice abbia portato la reliquia in Britannia.

Il Graal diventa un elemento centrale nelle storie di Re Artù e dei suoi cavalieri. Nella saga arturiana, il Graal è descritto non solo come una reliquia sacra, ma anche come un simbolo della ricerca spirituale. I cavalieri della Tavola Rotonda, come Lancillotto, Galahad e Parsifal, intraprendono viaggi per trovarlo, spesso affrontando prove morali e spirituali.

L’opera di Thomas Malory, Le Morte d’Arthur, consolida il Graal come un oggetto di purezza e grazia divina, raggiungibile solo dai cavalieri più degni.
Qui, il mito si intreccia con temi cristiani, rappresentando la redenzione e la comunione con Dio.

La domanda che molti studiosi si pongono è se il Graal abbia mai avuto una base storica. Alcuni ritengono che possa derivare da antiche tradizioni celtiche, dove calici e recipienti magici erano simboli di abbondanza e potere. Altri suggeriscono che il mito del Graal sia una creazione puramente letteraria, nata dalla devozione cristiana medievale.

Il Santo Graal continua a ispirare artisti, scrittori e ricercatori. Alcuni credono che reliquie conservate in luoghi come Valencia, Genova o Glastonbury possano essere il vero Graal, ma non vi sono prove definitive.
Più che un oggetto fisico, il Graal rappresenta un ideale: la ricerca della perfezione, della verità e della connessione con il divino.

Che sia una reliquia reale o una metafora spirituale, il Santo Graal rimane un simbolo potente della cultura occidentale. Attraverso i secoli, il suo mito ha assunto significati diversi, adattandosi alle esigenze spirituali e culturali delle epoche.
La sua essenza, tuttavia, resta immutata: il Graal incarna l’eterno desiderio umano di trascendere il mondo materiale e di scoprire il sacro.

Giovanni Bellini – Compianto sul Cristo morto con Giuseppe d’Arimatea, la Vergine e la Maddalena, tra s. Marta e Filippo Benizi – Gallerie dell’Accademia, Venezia – Wikipedia, pubblico dominio

La prima testimonianza scritta che menziona chiaramente il Sacro Calice risale al documento di donazione redatto dai monaci del monastero di San Juan de la Peña a favore del re d’Aragona, Don Martín I l’Umano. Questo documento, datato 26 settembre 1399, è considerato un punto di riferimento storico, come ha sottolineato il professor Salvador Antuñano.

Il documento descrive in modo preciso il calice di pietra che oggi è custodito a Valencia, e da quel momento in poi la sua storia è documentata in maniera continuativa. Tuttavia, prima di quella data, mancano prove scritte che ne attestino l’esistenza, ha osservato Antuñano.

Alla realtà materiale del calice si aggiunge una tradizione antica, corroborata da tracce e indizi storici plausibili. Secondo questa tradizione, il calice sarebbe stato trasferito da Gerusalemme a Roma da San Pietro e utilizzato dai primi Papi per celebrare i misteri cristiani. Intorno all’anno 258, San Lorenzo avrebbe inviato il calice in Spagna, nella regione di Huesca, per metterlo al sicuro dalle persecuzioni contro i cristiani ordinate dall’imperatore Valeriano.

Durante l’invasione musulmana, il calice sarebbe stato nascosto dai fedeli in diversi luoghi della montagna per proteggerlo. Con il progredire della Reconquista, esso avrebbe iniziato a essere venerato in varie chiese.
Si ritiene che intorno alla metà dell’XI secolo fosse custodito a Jaca dai vescovi locali e che, con l’introduzione del rito romano nel Regno d’Aragona nel 1071, sia stato trasferito al Monastero di San Juan de la Peña, dove sarebbe rimasto per oltre tre secoli.

Alcuni indizi ricavabili dal Nuovo Testamento suggeriscono che Cristo abbia celebrato l’Ultima Cena nella casa di San Marco, il quale era collaboratore di San Pietro e San Paolo. Non sarebbe sorprendente, quindi, che l’evangelista abbia conservato la coppa utilizzata da Gesù per consacrare l’Eucaristia, consegnandola poi a Pietro e ai suoi successori, come Lino, Cleto e Clemente.

Jacopo Tintoretto – L’ultima cena – Chiesa di San Trovaso, Venezia – Wikipedia, pubblico dominio

Non va dimenticato che il canone romano della Messa, risalente ai primi secoli della Chiesa, include una formula antica che si riferisce a un “glorioso calice” utilizzato da Gesù nell’Ultima Cena. Questa formula, che presenta lievi varianti rispetto ad altre liturgie, sembra indicare un calice specifico e tangibile, ha sottolineato il professor Antuñano.

La storia documentata del calice, a partire dal 1399, culmina a Valencia. Nel 1915, il Capitolo cattedrale decise di trasformare l’antica sala capitolare in una cappella dedicata al Sacro Calice, dove l’oggetto fu collocato solennemente il giorno dell’Epifania del 1916.

Il Santo Calice di Valencia – Wikipedia – User: Vitold Muratov, opera propria rilsciata con licenza CC BY-SA 3.0

Durante la Guerra Civile spagnola, il calice fu rimosso dalla cappella poche ore prima che la cattedrale venisse incendiata. Dopo la fine del conflitto, esso fu restituito ufficialmente al Capitolo il 9 aprile 1939, in occasione del Giovedì Santo, e reinstallato nella cappella ricostruita il 23 maggio 1943.

 

Da allora, la devozione e il culto per il Sacro Calice si sono intensificati. L’arcivescovo di Valencia, monsignor Agustín García-Gasco, ha promosso la venerazione del calice oltre i confini della Comunità Valenciana, ampliandone la fama e l’importanza.

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