
Vincenzo Florio in una illustrazione del 1869 – Wikipedia, pubblico dominio
Il nome dei Florio si lega indissolubilmente alle isole Egadi il 5 ottobre 1841, quando i nobili Pallavicino e Rusconi affittano le antiche tonnare di Favignana e Formica alla ditta di Vincenzo Florio per un periodo di diciannove anni. Tuttavia, è nel 1874 che il legame diventa definitivo: Ignazio Florio senior acquista interamente l’arcipelago per 2.750.000 lire dalla famiglia Pallavicino, che a sua volta le aveva rilevate dal Demanio del Regno di Sicilia nel 1637.
Ripercorrere la storia dei Florio significa seguire la parabola di una famiglia che, nel giro di un secolo, passa da umili mercanti emigrati a protagonisti assoluti della scena economica e sociale, per poi affrontare un tramonto tanto dorato quanto drammatico.
Le radici dei Florio non sono siciliane: il primo della famiglia a sbarcare sull’isola fu Paolo Florio, emigrato dalla Calabria alla fine del Settecento. Commerciante con una forte vocazione marinara, aprì una piccola drogheria a Palermo, destinata in pochi anni a espandersi notevolmente, lasciando al figlio Vincenzo una solida eredità.

Milano, 1900 circa, tram con la pubblicità del marsala Florio – Wikipedia, pubblico dominio
Il talento imprenditoriale di Vincenzo Florio si manifestò presto. Fu promotore di molte iniziative, tra cui la costruzione di uno stabilimento per la produzione del vino Marsala, entrando in concorrenza con le affermate aziende inglesi come Woodhouse e Ingham. L’operazione si rivelò un successo: il Marsala prodotto dai Florio conquistò i mercati internazionali e si impose sulle tavole più raffinate.
Vincenzo tentò anche la via dell’industria tessile con una filanda di cotone a Marsala, che però si rivelò poco redditizia e fu costretto a chiudere dopo pochi anni. Tuttavia, la sua visione imprenditoriale lo spinse a investire nel settore marittimo: fu tra i fondatori della compagnia di navigazione “Società dei battelli a vapore siciliani”, che collegava Napoli, Palermo e Marsiglia. Dopo l’Unità d’Italia, per rispondere alla crescente esigenza di una rete di trasporti efficiente, costituì la “Società in Accomandita Piroscafi Postali”, che operava grazie a una convenzione statale.
Nel 1877, la società di Florio acquisì a prezzi stracciati la flotta della “Trinacria”, una delle più grandi compagnie di navigazione dell’epoca. La concorrenza si ridusse così alla sola “Rubattino” di Genova, fino a quando, nel 1881, le due aziende si fusero dando vita alla “Navigazione Generale Italiana”, che ottenne il monopolio delle rotte marittime italiane. Questa compagnia, all’inizio del Novecento, sarebbe poi confluita nella Tirrenia.

Il transatlantico Duilio della Navigazione Generale Italiana – Wikipedia, pubblico dominio
Tra le numerose imprese di Vincenzo Florio vi fu anche la “Fonderia Oretea” a Palermo, una moderna industria metallurgica progettata per supportare la sua flotta. Il prestigio raggiunto gli valse incarichi istituzionali di grande rilievo, tra cui un posto nel Consiglio Superiore della Banca Nazionale del Regno, la massima autorità economica dell’epoca. Alla sua morte, nel 1868, lasciò al figlio Ignazio una fortuna stimata in 300 milioni di lire, una cifra colossale per l’epoca.

Il Senatore Ignazio Florio – Stampa del 1891 – Wikipedia, pubblico dominio
Ignazio senior sposò la baronessa Giovanna D’Ondes, da cui ebbe 4 figli: Vincenzo (morto a meno di un anno dalla nascita), Ignazio junior, Giulia e Vincenzo destinato ad essere l’ultimo esponente dei Florio.
Il raggio d’azione e il volume di affari della famiglia Florio era destinato ad allargarsi cosi come divenne sempre più profonda la loro impronta sul costume, sulla cultura e l’economia del tempo.
Ignazio Florio senior sposò la baronessa Giovanna D’Ondes e, sotto la sua guida, la famiglia ampliò ulteriormente il proprio raggio d’azione. Creò nuove industrie dotate di servizi moderni per gli operai, fondò un istituto assistenziale per ciechi e avviò la costruzione del Teatro Massimo di Palermo, il più grande d’Italia.
Fu lui a consolidare il legame tra i Florio e Favignana, lasciando un’impronta indelebile sull’isola. Nel 1878 fece costruire la suggestiva Palazzina Florio, progettata dall’architetto Giuseppe Damiani Almeyda, e potenziò la lavorazione del tonno, introducendo innovativi metodi di conservazione.
Tuttavia, l’apogeo della famiglia si raggiunse con Ignazio Florio junior, che succedette al padre e sposò la nobildonna Franca Jacona di San Giuliano, celebre per la sua bellezza e il suo carisma, tanto da essere soprannominata “Donna Franca” da Gabriele D’Annunzio.
Sotto la sua gestione, i Florio divennero un simbolo di potere economico e mondanità, frequentati da aristocratici, politici e artisti dell’epoca.

Ignazio Florio Jr., Franca Florio e i loro primi figli – Wikipedia, pubblico dominio
Ignazio junior perfezionò la produzione del Marsala, rafforzò la presenza della famiglia nel settore bancario e fondò diverse aziende nel campo della siderurgia e delle riparazioni navali. Entrò nella Anglo-Sicilian Sulphur Company, un grande consorzio internazionale per lo sfruttamento delle miniere di zolfo in Sicilia.

Prima pagina de L’Ora del 6 maggio 1906 con la cronaca della targa Florio. – Wikipedia, pubblico dominio
Nel 1900 fondò il quotidiano “L’Ora” di Palermo, diretto da Vincenzo Morello, con l’intento di diffondere il programma del Consorzio Agrario Siciliano, un’associazione di proprietari terrieri da lui promossa. Nel 1897, dopo decenni di lavori, inaugurò finalmente il Teatro Massimo, voluto dal padre.
Nel frattempo, il fratello minore Vincenzo Florio si dedicò alla mondanità e agli sport, fondando nel 1906 la celebre corsa automobilistica Targa Florio, destinata a diventare una delle più importanti competizioni motoristiche al mondo.
Nonostante il grande successo, i primi anni del Novecento segnarono l’inizio del declino per la famiglia Florio. Ignazio junior e Donna Franca furono colpiti da una serie di tragedie personali: la morte di tre figli in tenera età minò il loro spirito e spense la speranza di un erede maschio.
Parallelamente, il contesto economico mutò radicalmente. La fine della Belle Époque, le difficoltà del Mezzogiorno e le politiche economiche favorevoli all’industria del Nord misero in crisi il modello imprenditoriale dei Florio. La famiglia iniziò a vendere le proprie attività per far fronte ai crescenti debiti, ma il declino era inarrestabile.
Nel 1959 morì Vincenzo Florio, l’ultimo della dinastia, senza lasciare eredi. Con lui si chiuse definitivamente la storia di una famiglia che, per oltre un secolo, aveva dominato la scena economica e culturale italiana.
Oggi, il nome dei Florio resta un simbolo della grandezza e della decadenza di un’epoca, un mito che ancora affascina e racconta una delle pagine più straordinarie della storia siciliana.
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