Nel cuore antico di Napoli, tra le mura silenziose della Chiesa di San Severino e Sossio, si tramanda una storia intrisa di mistero e dolore: la maledizione della contessa di Saponara, un’oscura vicenda di potere e vendetta familiare legata al casato dei Sanseverino. Questa leggenda si intreccia con i destini tragici di tre giovani fratelli, commemorati nel marmo di una cappella funeraria angusta e carica di simbolismo.

Cappella Sanseverino (transetto destro) – Chiesa dei santi Severino e Sossio di Napoli
(Wikipedia – foto IlSistemone –  CC BY-SA 4.0)

La Chiesa di San Severino e Sossio, un gioiello dell’architettura religiosa napoletana, sorge su un antico monastero fondato nel V secolo da San Benedetto da Norcia. Questo luogo sacro, tra i più imponenti della città, ha visto la nascita di tre chiostri e numerosi ampliamenti tra il Seicento e il Settecento. Nel corso dei secoli, è stato teatro di sfortunate calamità, come incendi ricorrenti e incidenti drammatici, tra cui la morte del pittore Belisario Corenzio nel 1648.

Ma è nella Cappella Sanseverino che si concentra l’attenzione dei visitatori: un luogo di raccoglimento che custodisce i monumenti funebri dei tre giovani fratelli Sanseverino, raffigurati con straordinario realismo dal grande scultore Giovanni Merliano da Nola.
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La Maledizione della Contessa di Saponara

Le origini della maledizione risalgono al conflitto tra la dinastia aragonese e il casato Sanseverino.
Ugo Sanseverino, patriarca della famiglia, aveva recuperato parte dei beni confiscati dal re Ferrante, assicurando ai suoi tre figli un futuro prospero. Tuttavia, il rancore del fratello Girolamo, escluso dall’eredità, sfociò in un piano diabolico: eliminare i suoi nipoti.

Un giorno, Girolamo invitò i giovani a Monte Albano per una battuta di caccia. Durante il banchetto, sua moglie Sancia Dentice avvelenò il vino che i ragazzi bevvero inconsapevolmente. Ritornati a casa, i tre fratelli caddero vittime di una terribile agonia, morendo tra le braccia disperate della madre, la contessa Ippolita de Monti di Saponara.

Distrutta dal dolore, Ippolita giurò vendetta. Sebbene Girolamo fosse inizialmente incarcerato, la giustizia dell’epoca, lenta e corrotta, non portò a una condanna definitiva. Infuriata per l’inerzia del marito Ugo, più preoccupato per la reputazione del casato che per la perdita dei figli, Ippolita scagliò una maledizione contro l’intera stirpe dei Sanseverino. Da quel momento, la famiglia fu colpita da una serie di sventure: la morte improvvisa di Ugo, pestilenze devastanti e la perdita di beni preziosi, tra cui il Palazzo Sanseverino.

Ippolita commissionò a Giovanni Merliano da Nola i monumenti funebri dei figli, chiedendo di rappresentarli seduti, come se fossero ancora in vita. Gli sguardi delle statue convergono verso un punto preciso: la tomba della madre, un tributo eterno al suo amore e alla sua sofferenza. La cappella diventa così un luogo di memoria, dove la tragicità della vicenda familiare si mescola all’arte sublime.

Chiesa dei santi Severino e Sossio – Interno – (Wikipedia – foto IlSistemone –  CC BY-SA 4.0)

La Chiesa di San Severino e Sossio è avvolta da un’aura di mistero. Si narra che i monaci benedettini, fuggiti dalle incursioni saracene, portarono con sé una raccolta di libri proibiti che potrebbe spiegare i numerosi incendi che devastarono il complesso. Un’altra leggenda racconta che San Benedetto incise benedizioni esorcizzanti sulle colonne d’ingresso per proteggere il convento dalle forze oscure.

Questa storia, tra mito e realtà, continua a esercitare un fascino irresistibile su chi visita la chiesa, un luogo dove arte, fede e mistero si intrecciano inestricabilmente.

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