Federico II di Svevia, uno degli uomini più carismatici del Medioevo, sembra non aver mai permesso che il pensiero della morte lo occupasse a lungo. Eppure, nonostante il suo atteggiamento quasi immortale, aveva già preparato la sua tomba. Un sarcofago di porfido rosso, trovato a Cefalù e trasportato a Palermo, dove il nonno Ruggero II aveva stabilito il luogo di sepoltura per sé e la sua famiglia, sciogliendo così un voto dopo la costruzione del duomo.
Il sarcofago di Federico è un’opera maestosa: sormontato da un timpano triangolare, poggia su una base semicircolare sostenuta da quattro leoni. Simboli pagani decorano la struttura, aggiungendo un solo di mistero.
La salma di Federico vi fu deposta dopo una breve sosta a Messina. Inizialmente avvolto nel saio dei cistercensi, fu poi ricoperto dagli ornamenti imperiali: un camice di lino con colletto e polsini adornati da iscrizioni in caratteri cufici, una cintura di seta scarlatta e un manto ricamato di perle, chiuso da un prezioso gioiello. Anche le scarpe erano di seta rossa, e alla mano destra portava un anello d’oro con uno splendido smeraldo. A fianco, la spada decorata e un cinturone d’oro e argento. Sul capo, una corona sobria in bronzo e oro, mentre accanto alla testa era stato posto il globo imperiale d’oro, ornato di smeraldi e una perla di notevole grandezza.
Nel 1781 la tomba venne aperta, e uno dei presenti osservò che il volto di Federico era sorprendentemente ben conservato, “come quello di un santo“. Ulteriori esplorazioni furono fatte nel 1962, dissipando definitivamente la leggenda che lo voleva sprofondato con il suo cavallo nell’Etna.
Sebbene la morte abbia impedito a Federico di completare i suoi progetti, il suo lascito non fu cancellato.
Come scrive Benedetto Croce, l’idea di uno Stato indipendente dalla Chiesa venne ripresa da altri sovrani e comuni in Europa, non più sotto l’ombra dell’antico Impero o dell’assolutismo cesareo-bizantino, ma nel contesto dei nuovi Stati nazionali.
Federico rimase un simbolo controverso: ammirato e dannato, con Dante che lo pose all’Inferno, ma che, allo stesso tempo, riconosceva la grandezza della sua fama.
L’eredità di Federico fu quella di uno Stato come opera d’arte, come scrisse Burckhardt. La sua legislazione, organizzata in un sistema coerente, l’amministrazione efficiente e la giustizia affidata a ufficiali regi furono tratti distintivi del suo regno. Federico fu anche un promotore della cultura e della ragione, opponendosi all’irrazionale e al barbarico che ancora pervadeva altre parti d’Europa. Con la sua morte, l’Italia perse per secoli la speranza dell’unità, e il fascino della sua idea imperiale.
Papa Innocenzo IV, nel suo odio per Federico, giurò di “distruggere sino agli ultimi discendenti questa razza di vipere“. Questa terribile maledizione si compì pochi anni dopo la morte dell’imperatore.
Corrado IV, figlio di Federico, tentò di riconquistare il sud Italia, ma morì a Lavello nel 1253, lasciando un figlio, Corradino, di appena due anni. Anche Enrico, il figlio che Federico ebbe da Isabella d’Inghilterra, morì prematuramente, appena un anno dopo il padre.
Manfredi, figlio illegittimo di Federico, fu l’ultimo a mantenere alta la bandiera degli Hohenstaufen.
Dopo sedici anni di lotta contro le forze del Papato, fu sconfitto e ucciso il 26 febbraio 1266 nella battaglia di Benevento, combattendo contro Carlo d’Angiò, chiamato a governare la Sicilia dal papa Clemente IV.
Il destino di Corradino fu altrettanto tragico. A quindici anni, scese dalla Germania per reclamare l’eredità del nonno.
Catturato a Tagliacozzo il 21 agosto 1268, fu decapitato sulla piazza del mercato di Napoli su ordine di Carlo d’Angiò. Aveva solo sedici anni.
L’unico superstite della dinastia, Enzo, figlio di Federico, trascorse il resto della sua vita in prigionia a Bologna, dove morì nel 1272.
Con la morte di Enzo si spende anche l’ultima speranza dell’unità italiana e la possibilità di restaurare il potere dell’Impero. Le sue poesie, cariche di malinconia, sono testimonianze di una sconfitta, ma mai dimentica.
vedi anche:
- Appunti di storia della Sicilia
- Federico II, stupor mundi
- Federico II, una nascita che fu per tutti un prodigio
- Federico II e “Li tri donni chi mali ci abbinni”
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