Secondo un’antica credenza popolare, le cosiddette “donne di fuora” non uscivano di casa con il corpo, bensì con lo spirito. Il loro viaggio non era terreno, ma un volo spirituale che le conduceva in regni ultraterreni. Durante queste escursioni, incontravano spiriti degli inferi e anime vaganti, da cui ricevevano consigli, risposte e persino interrogativi da portare ai loro clienti mortali.

Si tramanda che queste “donne” facessero parte di una società composta da 33 creature straordinarie, unite sotto il comando di una figura materna, una sorta di “Mamma Maggiore”, che dimorava a Messina.
Tre volte a settimana – precisamente nelle notti di martedì, giovedì e sabato – le donne di fuora si radunavano in spirito sull’isola di Ventotene, dove partecipavano a concili. Qui deliberavano sulle richieste a loro pervenute: rompevano incantesimi, scioglievano legature, decidevano punizioni o ricompense per chi aveva attirato il loro odio o meritato il loro amore.

Prima di partire, queste misteriose donne avvertivano i familiari o coloro che vivevano con loro, ricordando loro di non toccarle durante la loro assenza, poiché il corpo, seppur presente, era vulnerabile e legato al ritorno dello spirito.

Chi desiderava attirare una “bella signora” nella propria dimora doveva compiere un rituale preciso: prima della mezzanotte, bisognava bruciare incenso, foglie d’alloro e rosmarino. Il profumo di queste essenze avrebbe chiamato le donne di fuora, che si intrufolavano in casa attraverso fessure o il buco della serratura, muovendosi come spiriti invisibili. Sebbene non si lasciassero mai vedere, la loro presenza era rivelata da sottili profumi o impercettibili rumori.

Secondo la leggenda, le prime donne di fuora ottennero i loro straordinari poteri direttamente dal demonio, al quale avevano ceduto l’anima attraverso un contratto. Tuttavia, non tutte potevano aspirare a diventare una di queste entità: le doti richieste erano bellezza, senso di giustizia, virtù nel silenzio e assoluta obbedienza alle decisioni collettive prese durante i concili.

Giuseppe Pitrè, nel suo lavoro “Fiabe, Novelle e Racconti Popolari Siciliani”, racconta un episodio legato alle donne di fuora:

“‘Ntra stu Curtigghiu di li setti Fati, ‘nta la vanidduzza chi spunta ‘nfacci lu Munasteriu di Santa Chiara, vonnu diri ca la notti cci vinìanu sette donni di fora, tutti una cchiu bedda di ‘n’àutra. Sti donni si purtavanu quarchi omu o puramenti quarchi fimmina chi cci parìa a iddi, e cci facianu vidiri cosi mai visti: balli, sònura, cummiti, cosi granni. E vonnu diri puru ca si li purtavanu supra mari, fora fora, e li facianu caminari supra l’acqua senza vagnàrisi. Ogni notti faciànu stu magisteriu, e poi la matina spiriànu e, un si nni parrava cchiui. Di ddocu nni veni ca stu curtighiu si chiama lu curtigghiu di li setti Fati.”

Traduzione:

Si narra che nel cortile delle sette Fate, situato in una viuzza prospiciente il Monastero di Santa Chiara, la notte comparissero sette donne di fuori, ognuna più bella dell’altra. Queste misteriose creature sceglievano uomini o donne che a loro piacevano e li conducevano in un mondo di meraviglie, mostrando loro balli, musiche, banchetti e altre cose straordinarie. Si diceva anche che portassero i prescelti sopra il mare, facendoli camminare sulle acque senza mai bagnarsi.
Ogni notte ripetevano queste imprese magiche, e al mattino scomparivano senza lasciare traccia, mantenendo il loro segreto. Da allora, quel cortile è conosciuto come “il cortile delle sette Fate”.

 

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