Ristabilitosi da una grave malattia che lo aveva portato vicino alla morte, Giovan Francesco di Sangro fece voto di erigere una cappella dedicata alla Vergine Maria. Nacque così “una picciola cappella“, destinata a diventare un capolavoro unico nel tempo.
Più di un secolo e mezzo dopo, Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, intraprese un ambizioso progetto di restauro e ampliamento della cappella.
Uomo di molteplici talenti e interessi, Raimondo era Gentiluomo di Camera di Carlo di Borbone, membro dell’Ordine dei Cavalieri di San Gennaro, Accademico della Crusca e Gran Maestro della Loggia Massonica.
Si diceva fosse affascinato dall’alchimia e dalle scienze esoteriche, voci che aggiungevano un alone di mistero al suo personaggio. A lui si unì Antonio Corradini, uno scultore veneto di grande fama, ormai anziano, amico di Raimondo e anch’egli massone. Intorno al 1750, Corradini progettò le statue e gli apparati della cappella, lavorando in accordo con Raimondo.
Un aspetto curioso del progetto fu l’intenzione del principe di dedicare le prime opere scultoree ai suoi genitori, figure che, per diverse ragioni, non aveva mai conosciuto profondamente.
La madre, Cecilia, era morta prematuramente, mentre il padre, partito per lunghi viaggi, aveva abbandonato il figlio alle cure della famiglia e si era infine ritirato in un monastero.
Nacquero così due opere straordinarie: la Pudicizia, scolpita dallo stesso Corradini, e il Disinganno, realizzato dal genovese Francesco Queirolo su progetto del Corradini. La prima, dedicata alla madre, colpisce per l’abilità nel rappresentare il velo trasparente che copre la figura, un simbolo di purezza che trasforma il marmo in un trionfo di sensualità. La seconda, dedicata al padre, rappresenta un uomo che si libera da una rete intricata, simboleggiando la lotta contro gli inganni, con l’aiuto di un genio alato. Entrambe le statue sono affiancate da lapidi commemorative: quella della madre è volutamente spezzata.
L’opera più celebre della cappella è però il Cristo velato, realizzato da Giuseppe Sanmartino.
La straordinaria resa del velo che copre il corpo di Cristo ha alimentato leggende, secondo le quali il principe avrebbe utilizzato procedimenti alchemici per “marmorizzare” un vero tessuto.
Documenti rinvenuti nell’Archivio Notarile di Napoli riportano dettagli su un possibile procedimento chimico ideato da Raimondo. La ricetta descrive l’uso di calce viva, acqua e carbone per creare una finitura marmorea su un modello ricoperto da un sottile velo di tessuto. Anche se non vi sono prove definitive, la maestria dell’effetto rimane indiscutibile.
Raimondo di Sangro, nonostante il genio visionario, esercitava un controllo assoluto sugli artisti coinvolti nei suoi progetti. Il contratto con Queirolo, ad esempio, gli imponeva di lavorare esclusivamente per il principe e di sottostare a tutte le sue indicazioni, privandolo di libertà creativa. Questa rigida imposizione rifletteva il carattere autoritario del nobile.
La fama della cappella e delle sue opere si diffuse rapidamente, attirando visitatori illustri, tra cui il Marchese de Sade, affascinato dal connubio di arte, scienza e misticismo che la permeava. Le “Macchine Anatomiche“, due modelli di corpi umani con dettagliate riproduzioni del sistema circolatorio, aggiungevano un ulteriore elemento di inquietudine. Si diceva fossero i corpi di servitori sacrificati per esperimenti alchemici, un’accusa mai dimostrata ma in linea con la figura enigmatica di Raimondo.
Le opere della Cappella Sansevero rimangono un monumento alla complessità culturale e spirituale del Settecento napoletano. Tra il misticismo, la scienza e l’arte, la Pudicizia, il Disinganno e il Cristo velato rappresentano una sintesi unica e irripetibile, testimoniando il genio e il mistero di Raimondo di Sangro.
Il Cristo velato, opera di Giuseppe Sanmartino, è uno dei massimi capolavori della scultura mondiale, nonostante sia rimasto per lungo tempo poco conosciuto.
Realizzata nel 1753 su commissione di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, questa scultura si distingue non solo per la sua straordinaria bellezza, ma anche per il mistero che avvolge la sua creazione. Raimondo, figura poliedrica e controversa ma anche alchimista, scienziato, inventore e Gran Maestro massonico, avrebbe fornito precise istruzioni per la sua realizzazione, suggerendo che non siano stati impiegati metodi tradizionali di scultura.
La raffinatezza tecnica del Cristo velato è sorprendente, tanto che non trova riscontro in altre opere dello stesso Sanmartino, né precedenti né successive.
Sebbene Sanmartino fosse uno scultore di talento, non raggiunse mai più l’eccezionalità espressa in questa creazione. Questo ha alimentato speculazioni sull’eventuale utilizzo di procedimenti chimico-fisici, avanzando l’ipotesi che il principe alchimista avesse contribuito con tecniche rivoluzionarie per l’epoca.
Osservando da vicino la scultura, si ha l’impressione che il velo non sia scolpito nello stesso blocco di marmo, ma piuttosto applicato come un drappo vero e proprio sopra una figura già completata. Secondo alcune teorie, il velo sarebbe stato realizzato cristallizzando una soluzione di calce spenta, un procedimento che avrebbe trasformato un tessuto reale in marmo. La presunta tecnica prevedeva l’immersione della statua in una vasca, la copertura con un velo bagnato e l’applicazione di latte di calce diluito, su cui veniva fatto agire ossido di carbonio prodotto da un forno a carbone. Questo avrebbe provocato la formazione di carbonato di calcio, un processo che avrebbe marmorizzato il tessuto. Tuttavia, questa affascinante ipotesi non è mai stata dimostrata scientificamente.
Un documento dell’epoca, datato 16 dicembre 1752 e conservato nell’Archivio Storico del Banco di Napoli, testimonia il pagamento effettuato da Raimondo di Sangro a Giuseppe Sanmartino. Nella ricevuta si legge: “E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagherete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo.” Questo conferma la cura con cui Raimondo seguiva ogni dettaglio dell’opera.
L’intera scenografia della Cappella Sansevero è permeata di simbolismo massonico, riflettendo l’appartenenza del principe a questa società segreta. La statua del Cristo velato occupa il cuore della cappella, situata nella Cavea sotterranea, una cripta che Raimondo illuminò con le sue celebri “lampade eterne”. Questa particolare illuminazione enfatizza le pieghe del velo marmoreo, esaltandone il dramma e la delicatezza.
Il Cristo velato rimane quindi un’opera unica, al confine tra arte e scienza, capace di affascinare per la sua perfezione tecnica e per i misteri che ancora oggi la circondano. La sua bellezza non solo testimonia l’abilità di Sanmartino, ma anche la visione innovativa e audace del Principe di Sansevero.
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