Il castello di Pizzo Calabro, imponente struttura affacciata sul mare, fu costruito nel XV secolo per volere del re Ferdinando d’Aragona.
La sua edificazione aveva uno scopo strategico: porre un freno alle congiure orditigli contro dai potenti locali, tra cui Carlo Sanseverino, il feudatario di Pizzo. Questo maniero, nato come baluardo di potere, sarebbe diventato teatro di eventi cruciali della storia.
Uno dei personaggi legati indissolubilmente al castello è Gioacchino Murat, re di Napoli e cognato di Napoleone Bonaparte.
Durante il suo regno, Murat guadagnò il favore del popolo grazie alle sue riforme mirate a migliorare le condizioni di vita dei sudditi.
Tuttavia, la sua sorte cambiò con la caduta di Napoleone. Sconfitto e costretto a fuggire, Murat tentò invano di riconquistare il trono. Nel 1815, sbarcato a Pizzo per organizzare una rivolta, fu catturato dalle truppe di Ferdinando IV di Borbone. Rinchiuso proprio nel castello, fu condannato a morte e fucilato il 13 ottobre dello stesso anno.
La figura di Murat è avvolta da un alone di mistero, soprattutto per quanto riguarda la sua sepoltura e i beni che aveva al momento della cattura. Secondo alcune ipotesi, il suo corpo riposerebbe in una fossa comune nella navata centrale della chiesa di San Giorgio, una costruzione che lo stesso Murat aveva fatto edificare a Pizzo. Altri sostengono che il tesoro che portava con sé, insieme ai gioielli personali, sia andato perduto o nascosto.
La leggenda che circonda Murat alimenta racconti di apparizioni e suoni inquietanti. Si racconta che la chiesa di San Giorgio, legata indissolubilmente alla tragica storia di Gioacchino Murat, sia teatro di fenomeni che continuano ad alimentare leggende e misteri.
Si narra che, durante le notti silenziose, nel buio della navata della chiesa, si sentano rumori di catene. Per molti, questi suoni rappresentano lo spirito irrequieto del re, che vagherebbe ancora in cerca di giustizia o di pace eterna. Il castello di Pizzo, oggi luogo di memoria storica, conserva non solo le tracce di un passato turbolento ma anche il fascino di un enigma mai risolto.
Testimonianze parlano di improvvisi bagliori di luce che rischiarano l’interno della navata, accompagnati da una voce profonda e rimbombante, le cui parole rimangono incomprensibili, come se appartenessero a un’altra epoca.
In un episodio particolare, una donna avrebbe visto l’apparizione di Murat. Avvolto in un manto di ermellino, il suo fantasma sembrava librarsi sopra il pavimento della chiesa, sfidando ogni logica terrena. La visione ha lasciato sgomenti i presenti, contribuendo a radicare l’idea che l’anima del re sconfitto non abbia mai trovato pace.
Anche il mare e il cielo di Pizzo Calabro sembrano ricordare il destino avverso di Murat. Gli abitanti del luogo parlano di un fenomeno noto come “la tempesta di Giacchinu“: ogni anno, alla stessa ora e nello stesso giorno in cui la flotta di Murat fu sorpresa dalla furia degli elementi, il cielo si anima di lampi e tuoni. Per molti, questo evento atmosferico non è una semplice coincidenza, ma un segno della natura che riecheggia la tragedia.
Infine, il castello di Pizzo è il cuore delle narrazioni più cupe. Qui, si dice che il fantasma di Murat vaghi inquieto, prigioniero di un destino crudele e animato da un desiderio irrisolto di vendetta. Gli scricchiolii delle catene e i passi nei corridoi silenziosi alimentano la convinzione che lo spirito del re non abbia mai abbandonato il luogo della sua condanna.
Pizzo Calabro, con il suo castello e la sua chiesa, non è solo una meta storica, ma anche un luogo dove la realtà sfuma nel mito.
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