Nella mitologoia greca incontriamo spesso il nome Polidoro, tra i più noti abbiamo:
- Polidoro, figlio di Priamo ed Ecuba
- Polidoro, figlio di Priamo e Laotoe
- Polidoro, figlio di Cadmo e Armonia
- Polidoro, figlio di Astianatte
In questa pagina vogliamo parlare di Polidoro, il più giovane figlio di Priamo, re di Troia, e della regina Ecuba.
Durante gli ultimi e più drammatici anni della guerra di Troia, Priamo, temendo per la sorte della sua città ormai assediata dai Greci, decise di mettere al sicuro il suo figlio minore. Affidò dunque Polidoro, ancora adolescente, al re Polimestore, sovrano della Tracia, insieme a una parte considerevole del tesoro troiano. Il gesto, dettato dall’istinto paterno e dalla speranza di salvezza, si sarebbe rivelato fatale.
Quando giunse in Tracia la notizia della definitiva caduta di Troia, Polimestore tradì ogni vincolo di ospitalità e ogni senso d’onore. Spinto dall’avidità, trafisse a tradimento il giovane Polidoro per impadronirsi delle sue ricchezze. Poi, senza pietà, ne gettò il corpo giù dalle mura della città: il cadavere precipitò in mare, dove fu divorato dai pesci.

Polimestore uccide Polidoro. Stampa di de Bauer per le Metamorfosi di Ovidio, libro XIII, 430-438. – Di Bauer – lavoro rilasciato con licenza CC BY-SA 3.0 – Wikipedia –
Il dolore di Ecuba, madre straziata, divenne follia e furia vendicatrice. Non più regina, non più madre in vita, ma vestale di un dolore che chiede giustizia, Ecuba attirò Polimestore con l’inganno: uccise i suoi due figli innocenti sotto i suoi occhi, e infine lo accecò, lasciandolo vivo perché la cecità fosse memoria eterna del suo delitto. Così si compì la vendetta della madre, feroce quanto il tradimento subito.

Ecuba ritrova suo figlio Polidoro. Incisione di Virgilio Solis per le Metamorfosi di Ovidio, Libro XIII – Wikipedia, pubblico dominio
Questo episodio terribile ci è tramandato da Virgilio nel Libro III dell’Eneide, quando Enea, fuggito da Troia, racconta alla regina Didone le sue peregrinazioni.
In Tracia, Enea aveva appena iniziato a fondare una nuova città, Eneade, e mentre erigeva un altare agli dèi, strappando delle fronde dal terreno per adornarlo, vide stillare sangue nero dai rami recisi. Dallo stesso arbusto, una voce lo implorò: era l’anima tormentata di Polidoro, suo cugino, che gli narrò la sua tragica fine e lo supplicò di lasciare quel suolo profanato.

Tiziano Vecellio – La leggenda di Polidoro – Wikipedia, pubblico dominio
Il mito di Polidoro ha avuto vasta eco nella letteratura. Dante Alighieri, nella Divina Commedia, lo evoca in due luoghi. Nel Canto XIII dell’Inferno, inserisce un’immagine potentemente ispirata alla sorte di Polidoro: le anime dei suicidi sono trasformate in alberi contorti, dai quali sgorga sangue se spezzati, in una chiara allusione al racconto virgiliano. Lo cita poi direttamente nel Canto XX del Purgatorio (v. 115), come simbolo della violenza subita e del tradimento.
Così, la breve vita di Polidoro, bambino sacrificato al crudele gioco degli adulti, diventa metafora eterna di innocenza violata, di fiducia tradita e di una giustizia che, anche se tarda e feroce, non si lascia attendere in eterno.
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