In senso stretto, l’eternità è una caratteristica propria solo di Dio, poiché implica l’assenza totale di inizio e di fine. L’inferno, pur essendo privo di una conclusione, ha avuto un momento di origine, non creato nel tempo, ma in un contesto atemporale, nell’“evo”. Pertanto, sarebbe più accurato definirlo come “interminabile” piuttosto che eterno.
L’Antico Testamento, attraverso le parole del profeta Isaia (66,24), e il Vangelo di Marco (9,42), menzionano un “verme” dell’inferno che non muore mai, a simboleggiare una condanna perpetua, un concetto ripreso anche da Sant’Agostino.
Nel Nuovo Testamento, simili riferimenti abbondano. In particolare, nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi, si accenna al supplizio eterno. Questo concetto viene confermato dalle stesse parole di Gesù, che concludono la profezia sul Giudizio universale dicendo:
“E i malvagi andranno al supplizio eterno, mentre i giusti alla vita eterna”.
San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi (6,9-10), avverte che “gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio” e precisa che chi vive nell’immoralità, nell’idolatria, nell’adulterio e in altre forme di peccato non otterrà l’accesso al regno divino. Tuttavia, nonostante questi ammonimenti, una parte dell’umanità continua a seguire la via del male, simbolicamente rappresentata dall’angelo sterminatore Abaddon, il capo dei demoni della settima gerarchia. Il termine “Abaddon” significa “rovina” e, secondo la tradizione rabbinica, indicava il livello più profondo dell’inferno, un luogo senza fondo, descritto come la dimora di Satana e degli spiriti malvagi (Apocalisse cap.9,11;20)
Questi insegnamenti, chiari e dettagliati nelle Scritture, portarono la Chiesa a formulare uno dei suoi dogmi fondamentali: l’eternità delle pene infernali.
L’eternità, a differenza del tempo, non è una sequenza di minuti, ore, o anni, ma piuttosto un “presente immutabile” senza inizio né fine. Il tempo è soggetto al cambiamento e al divenire, ma l’eternità, priva di ogni successione temporale, non ammette mutazioni. Di conseguenza, le gioie del Paradiso e le pene dell’inferno non possono essere alterate.
Si narra che Sant’Agostino, riflettendo sul mistero dell’eternità, ha avuto una visione del suo amico San Girolamo, morto poco prima a Betlemme. Apparendogli, San Girolamo gli avrebbe detto:
“Occhio umano non ha mai visto, orecchio umano non ha mai udito, mente umana non potrà mai comprendere quello che tu ti sforzi di capire”
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Questo episodio è tratto dalla vita di San Brunone, fondatore dell’Ordine certosino.
La storia narra di un funerale nella chiesa di Notre-Dame per Raimondo Diocrès, un noto professore della Sorbona, morto nel 1082. Secondo l’usanza, la sua salma fu collocata al centro della navata, coperta solo da un velo. Durante la cerimonia funebre, al momento del versetto del salmo “Responde mihi, quantas habeo iniquitates et peccata” (“Rispondimi quante iniquità e peccati ho
Mostrami i miei crimini e le mie trasgressioni..”)
Lo sgomento fu immediato, e i medici presenti si avvicinarono per confermare il decesso, ma constatarono che il corpo era privo di vita. Sconvolti, i presenti decisero di interrompere le esequie e rimandarle al giorno successivo. Il fatto turbò profondamente le autorità ecclesiastiche, che si trovarono divise su come procedere: alcuni sostenevano che l’episodio era segno di dannazione eterna, e quindi il defunto non meritava le preghiere della Chiesa; altri, pur riconoscendo la gravità dell’accaduto, ritenevano che il giudizio divino dovesse seguire il proprio corso.
Le esequie ripresero il giorno seguente, ma, giunti al versetto del salmo “Responde mihi…”, il cadavere del dottore Raimondo Diocrés si alzò dalla bara gridando:«Per giusto castigo di Dio sono stato condannato per sempre all’inferno.»
L’intera assemblea rimase attonita e terrorizzata. Con questo evento tangibile, i presenti non possono più dubitare dell’esistenza dell’inferno, una realtà che la voce stessa del defunto aveva confermato.
Un’altra testimonianza proviene dagli scritti di Sant’Antonio Pierozzi, arcivescovo di Firenze nel XV secolo.
Racconta di un giovane di buona famiglia che, all’età di sedici anni, aveva nascosto un peccato al confessore per vergogna. Nel tempo, si confessò più volte con diversi sacerdoti, ma continuò a celare quel peccato, accumulando così una colpa sempre più grave. Sebbene ricevesse l’Eucaristia, ometteva deliberatamente quella colpa, la cui persistenza lo tormentava. Pur pentendosi e proponendosi di confessarlo, rimandava sempre.
Decise allora di entrare in convento, sperando che la vita monastica lo aiutasse a trovare la forza per una confessione completa. Tuttavia, anche lì, soffocò la voce della coscienza. Dopo alcuni anni si ammalò pesantemente e pensò che fosse finalmente giunto il momento per confessare tutto. Tuttavia, di fronte al confessore, nuovamente rinviò, e poco dopo, senza aver confessato, morì.
Per la sua vita apparentemente devota, i confratelli decisero di onorarlo portando la salma in cattedrale, dove rimase esposta per una notte intera. Il mattino seguente, prima delle esequie, un frate, recandosi a suonare le campane, si trovò di fronte il corpo del defunto, avvolto in catene roventi e con un bagliore inquietante che traspariva dalla pelle. Atterrito, il frate cadde in ginocchio, mentre l’apparizione proclamava:
“Non pregate per me, sono condannato all’inferno per tutta l’eternità”.
Il defunto gli rivelò come la vergogna e i sacrilegi hanno segnato il suo destino. Prima di scomparire, lasciò un odore nauseante che pervase la chiesa e il convento…
Un altro episodio risalirebbe a tempi ancora più antichi e si sarebbe verificato nella cattedrale di Alessandria d’Egitto. Durante una predica del vescovo sull’esistenza dell’inferno, due giovani studenti si trovavano tra i presenti. Uno dei due, con tono irriverente, si prese gioco delle parole del vescovo, affermando: “Sono solo frottole inventate dai preti. Se Dio è buono, non può punire con un’eterna sofferenza.” L’altro giovane, invece, fu profondamente scosso dal discorso e deciso di cambiare vita, ritirandosi in convento.
Passò del tempo, e il giovane che aveva schernito le parole del vescovo, dedito a una vita di eccessi e dissolutezza, morì improvvisamente. Il suo amico, venuto a conoscenza della notizia, iniziò a pregare fervidamente per la sua anima. Tuttavia, una notte, mentre era in preghiera, gli apparve lo spirito del defunto, segnato dalle terribili tracce della condanna eterna. Con voce angosciata gli disse: “È inutile che tu preghi per me, sono dannato per l’eternità. Ricordi quella predica che ascoltammo nella cattedrale? Ora ti assicuro che l’inferno esiste e vi rimarrà per sempre.”
L’apparizione si dissolse, lasciando nel giovane monaco la certezza della realtà di ciò che aveva udito e visto.
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vedi anche:
- Demoni e peccati – Malizia e stoltezza della bestemmia
- Esistono il Paradiso e l’Inferno?
- Il fumo di Satana nella casa del Signore
- Intervista con Melid (demonio impuro)
- L’inferno
- La Chiesa deve parlare del demonio
- Satana
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