Oggi parliamo di Salomone, il re passato alla storia per la sua immensa saggezza, per il suo straordinario ingegno e per essere stato considerato tre volte illuminato. Ancora oggi, il suo nome è sinonimo di giustizia e discernimento. Ma la sua storia si intreccia con quella di un’altra figura leggendaria: la regina di Saba.

Questa affascinante sovrana decise un giorno di intraprendere un lungo viaggio per incontrare Salomone. Dopo averlo conosciuto, tornò nella sua terra trasformata dall’incontro e, secondo la tradizione, diede alla luce un figlio, Bayna-Lehekem, da cui ebbe origine il regno d’Etiopia.

Chi era la regina di Saba?
Era solo un personaggio mitologico o una figura realmente esistita? Se fosse stata solo una leggenda, cosa ha alimentato il suo mito nei secoli? Conosciuta dagli arabi come Bilquis, dagli etiopi come Macheda e dalle tradizioni ebraico-cristiane come la regina di Saba, la sua fama attraversa le culture.

Si racconta che, venuta a conoscenza della straordinaria saggezza di Salomone, la regina di Saba volle metterlo alla prova e si recò a Gerusalemme con un seguito imponente e carovane cariche di spezie e doni preziosi. Sebbene le origini della sua storia siano giudaiche, esiste anche una versione persiana e una menzione nel Corano, dove si narra che, dopo l’incontro con Salomone, ella riconobbe la grandezza di Allah.

Ma è in Etiopia che la leggenda della regina di Saba è più viva che mai. Per questo popolo, è la figura fondante della loro civiltà. Si dice che fosse la sovrana del regno di Axum e che, incuriosita dalla fama di Salomone, volesse testarne la leggendaria sapienza con enigmi e domande complesse.
La sua visita a Gerusalemme, avvenuta tra il 1000 e il 950 a.C., è menzionata nel Talmud, nella Bibbia (Antico Testamento), nel Corano e, naturalmente, nel Kebra Nagast (La Gloria dei Re), il testo fondamentale della storia dell’impero etiope, redatto nel XIV secolo. Secondo il racconto, la regina rimase affascinata dall’intelligenza e dalla saggezza di Salomone, un incontro che cambiò per sempre il suo destino e quello della sua discendenza.

Giovanni De Min – Salomone e la regina di Saba – Wikipedia, pubblico dominio

Dall’unione tra il re Salomone e la regina di Saba nacque Menelik, il cui nome significa “Figlio dell’uomo saggio“. Discendente di una stirpe considerata divina, Menelik sarebbe divenuto il capostipite della dinastia salomonica, motivo per cui gli etiopi si sono sempre considerati un popolo eletto.
Diventato re, Menelik adottò come emblema il Leone di Giuda, simbolo del suo regno. Giunto all’età adulta, decise di recarsi a Gerusalemme per incontrare il padre. Al suo ritorno ad Axum, si narra che trafugò. o forse gli fu affidata, l’Arca dell’Alleanza. Tuttavia, l’Arca non giunse immediatamente ad Axum, ma intraprese un lungo e misterioso pellegrinaggio attraverso l’Egitto prima di raggiungere la sua destinazione secoli dopo.

Questo evento è tuttora ricordato nei solenni e suggestivi riti della Chiesa Copta Etiope, che celebra l’Arca durante le festività del Ghenna (Natale) e del Timkat (Epifania). Queste celebrazioni rievocano il fasto delle antiche corti di Gerusalemme e Axum, mantenendo viva la memoria di un’epoca leggendaria.

La Regina di Saba e la sua città
Si racconta che la regina di Saba vivesse a est di Sana’a, nella città di Marib, capitale del suo regno. Situata in un punto strategico lungo le rotte delle carovane che trasportavano incenso verso il Mar Rosso, Marib divenne un centro di immensa ricchezza e prosperità, dando origine alla leggendaria Arabia Felix.
Oggi, restano poche tracce nella città che possano svelare il mistero della regina di Saba. Se davvero è esistita, è probabile che abbia vissuto a Marib, nel cuore del deserto, circondata dallo splendore di templi maestosi e palazzi imponenti, testimoni di un’epoca d’oro ormai perduta.

Konrad Witz – La regina di Saba di fronte al re Salomone- Wikipedia, pubblico dominio

Secondo la leggenda, la regina di Saba governava su un regno straordinariamente ricco, una realtà che oggi sembra inconcepibile in una terra così arida e desolata. Tuttavia, si racconta che un sofisticato sistema di irrigazione avesse trasformato il deserto in un giardino rigoglioso, grazie alle acque della maestosa diga di Marib. Questa imponente struttura, lunga 640 metri e alta 11, si trovava nel cuore del deserto, alla fine dello Wadi Adhana.

Gli archeologi hanno datato la costruzione della diga al VI secolo a.C., circa 400 anni dopo l’epoca del leggendario regno di Saba. Tuttavia, sono state rinvenute tracce di una struttura più antica, risalente a qualche secolo prima, alimentando ulteriormente il mistero sulla vera esistenza della regina di Saba e del suo regno.

Per comprendere meglio questa storia, è fondamentale analizzare il Kebra Nagast, un testo sacro che costituisce la base della tradizione etiopica.

Il Kebra Nagast trae origine da antichi testi sionisti redatti nei primi secoli dell’era cristiana. Il suo nucleo principale si basa sull’Antico Testamento, ma incorpora anche elementi di testi rabbinici, leggende etiopi, egiziane e copte. Nel corso del tempo, vi si sono aggiunte influenze coraniche e della tradizione araba, in particolare palestinese e siriana, oltre a riferimenti a testi cristiani apocrifi come Il Libro di Adamo ed Eva, Il Libro della Perla e L’Ascesa di Isaia.

La prima parte del Kebra Nagast ripercorre storie bibliche, da Adamo e i suoi figli Abele, Caino e Set, fino a Noè, Abramo e Mosè.
Tuttavia, il cuore del racconto per i credenti Rastafari è la narrazione dell’incontro tra il re Salomone e Makeda, la regina di Saba, sovrana di un’antica Etiopia.

La Bibbia stessa menziona questo incontro (1 Re 10 e 2 Cronache 9), ma non fa alcun riferimento a una relazione tra i due sovrani né alla nascita di un figlio. Il Kebra Nagast, invece, descrive un profondo e appassionato dialogo tra Salomone e Makeda, che segna un passaggio cruciale: la regina, impressionata dalla saggezza del re, abbandona il culto del Sole per abbracciare il Dio di Israele, sancendo così la transizione verso il monoteismo.

Secondo il racconto, Makeda e Salomone si innamorano e trascorrono insieme alcune notti. Prima della sua partenza, il re le dona un anello speciale da consegnare a un eventuale figlio nato dalla loro unione. Così, una volta tornata nella sua terra, Makeda dà alla luce Bayna-Lehkem, che in seguito sarà conosciuto come Menelik I, il primo imperatore d’Etiopia e capostipite della dinastia salomonica.

A ventidue anni, Menelik si reca a Gerusalemme per incontrare il padre. Salomone, riconoscendolo come suo figlio, lo accoglie con tutti gli onori e cerca di convincerlo a rimanere. Tuttavia, Menelik è deciso a tornare nella sua terra. Il re allora gli concede l’accompagnamento di alcuni giovani primogeniti israeliti, affinché lo aiutino nel governo.

Ma questi, in segreto, costruiscono una copia in legno dell’Arca dell’Alleanza e trafugano l’originale, portandola in Etiopia in un viaggio che, miracolosamente, dura un solo giorno anziché trenta. Quando Salomone scopre il furto, capisce che è stato voluto da Dio e che con l’Arca ha perso anche la benedizione divina.

Questo episodio stabilisce il legame tra il regno di Israele e quello d’Etiopia, incarnato da Menelik e dai suoi discendenti. Questa discendenza arriva fino a Ras Tafari Makonnen, noto come Hailé Selassié I, il duecentoventicinquesimo imperatore della dinastia salomonica. La tradizione etiopica lo considera erede diretto della linea di Davide, appartenente alla tribù di Giuda.

La teoria dello spostamento dell’Arca dell’Alleanza ad Axum rafforza il ruolo dell’Etiopia come “nuova terra eletta” da Dio, sostituendo Israele. Secondo questa visione, anche la popolazione nera è vista come il vero popolo eletto, un concetto che influenzerà profondamente la cultura Rastafari.

Il culto Rastafari

Bandiera Rastafari (variante della bandiera imperiale etiopica) – Wikipedia, pubblico dominio

Hailé Selassié è ancora oggi venerato come il “difensore della fede” e, nel Rastafarianesimo, è considerato il Messia nero, la reincarnazione di Cristo ritornato per regnare con un nuovo nome. Per i Rasta, egli è l’incarnazione di Jah, il Dio supremo, venuto sulla terra per liberare le nazioni dall’oppressione, in particolare il popolo nero.

Il nome stesso del movimento Rastafari deriva dal titolo dell’imperatore: Ras Tafari, che in amarico significa “Capo da temere”. La filosofia Rastafari si ispira agli insegnamenti del leader Marcus Mosiah Garvey e alle idee di figure come Leonard Howell, H. Archibald Dunkley e Joseph Nathaniel Hibbert.

Negli anni ’80, la cultura Rasta si è diffusa nel mondo grazie alla musica reggae, portata alla ribalta da Bob Marley, che ne ha veicolato il messaggio attraverso le sue canzoni, rendendo il Rastafarianesimo un fenomeno globale.

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