San Vitale nacque nei primi anni del X secolo a Kars-nubu (odierna Castronovo di Sicilia), in un’epoca segnata dalla dominazione araba sull’isola. Figlio di Sergio de Mennita e Crisonica, apparteneva a una famiglia di origini bizantine, facoltosa e di alto lignaggio.

Vista panoramica del Monte San Vitale con il Castello Normanno a Castronovo di Sicilia – Wikipedia, pubblico dominio

Battezzato nella chiesa madre di Maria Santissima dell’Udienza, ricevette un’educazione cristiana secondo il rito greco, sotto la guida di precettori ecclesiastici. Nonostante il contesto dominato dalla presenza musulmana, i cristiani godevano di una certa autonomia nei loro affari religiosi. Tuttavia, il giovane Vitale mostrò presto scarso interesse per gli studi e un’intensa inclinazione spirituale.
Intorno al 950, decise di rinunciare alle ricchezze familiari e si ritirò presso il monastero basiliano di San Filippo ad Agira, in provincia di Enna. Qui vestì l’abito religioso e trascorse cinque anni dedicandosi con fervore alla preghiera e al lavoro monastico.
Terminato questo periodo, si unì a un gruppo di confratelli in pellegrinaggio verso Roma, visitando i luoghi sacri della cristianità. Durante il viaggio, nei pressi di Terracina, fu morso da un serpente velenoso, ma riuscì a salvarsi miracolosamente tracciando un segno di croce sulla ferita.

Dopo il pellegrinaggio, anziché rientrare in convento, scelse la vita eremitica e si stabilì su un’altura nei pressi di Santa Severina, in Calabria, dove visse per due anni in preghiera e solitudine. Successivamente, trascorse dodici anni in un cenobio siciliano di regola basiliana, affinando la sua disciplina ascetica.
Attratto dalla vita solitaria, si trasferì nuovamente in Calabria, scegliendo come dimora il Monte Lipirachi. Qui entrò in contatto con l’abate del monastero di Locri, con cui condivise la ricerca spirituale e il distacco dal mondo.
Successivamente si stabilì in una zona isolata vicino a Capo Spulico, abitata per lo più da criminali e fuggitivi. Con la sua presenza, riuscì a riportare la pace tra i residenti, che in segno di gratitudine eressero una chiesa dedicata a San Basilio.

Si tramanda che in quel periodo compì un miracolo legato ai raccolti: pregò affinché un’inondazione non danneggiasse i campi e, anziché distruggere i raccolti, l’acqua si rivelò benefica per il raccolto.

Continuando la sua vita eremitica, cambiò più volte residenza, stabilendosi sul Monte Rapparo, a Sant’Angelo d’Asprono e sul Monte San Giuliano, per poi trascorrere un periodo in diversi cenobi. Tuttavia, il suo spirito era continuamente spinto verso la solitudine e l’ascolto del divino.
Infine, trovò dimora in una grotta nelle vicinanze di Quiete, in Basilicata, dove divenne leggendaria la sua familiarità con gli animali. Un detto popolare castronovese lo ricorda così:

“Santu Vitali,
fedda di pani,
e di lu riestu
nni duna a li cani.”

La fama della sua santità si diffuse fino a Bari, dove il governatore bizantino lo invitò per conoscerlo. Accompagnato da due confratelli, San Vitale lo incontrò, lo confessò e, durante il soggiorno, si narra che le sue preghiere placarono un violento temporale, evitando danni alla città.

Dopo la visita a Bari, si adoperò per ricostruire il monastero dei Santi Adriano e Natalia, distrutto dalle incursioni musulmane. Questo luogo divenne un importante centro di fede per i cristiani della regione.

Verso la fine del X secolo, il monastero fu nuovamente minacciato dagli invasori islamici. Mentre i monaci fuggivano per mettersi in salvo, San Vitale decise di rimanere. Quando un guerriero musulmano stava per colpirlo con la scimitarra, un fulmine lo colpì, facendogli cadere l’arma e lasciandolo in preda a un’improvvisa sofferenza.
Il santo non rispose con la violenza, ma pregò affinché il suo aggressore guarisse e, dopo averli ammoniti, convinse gli assalitori a ritirarsi.

San Vitale fu sempre aperto all’ascolto di chiunque lo cercasse con animo sincero. Si racconta che aiutò un uomo sterile a ottenere la grazia di un figlio e perdonò una donna colpevole di blasfemia, permettendole di redimersi. Seguendo l’insegnamento evangelico, vedeva nel pentimento e nella conversione il vero valore della fede.

Negli ultimi anni della sua vita, fondò due monasteri in Basilicata:

  • Il monastero di Torri, con l’aiuto del nipote Beato Elia, anch’egli monaco basiliano.
  • Il monastero di Rapolla, che divenne la sua ultima dimora.

Nel 994, San Vitale si spense il 9 marzo, dopo aver designato il suo successore.
Inizialmente sepolto nel monastero in cui morì, nel 1024 le sue reliquie furono traslate a Guardia Perticara, poi a Torri per proteggerle dalle incursioni musulmane e infine ad Armento, su volontà del feudatario locale. Da qui, furono successivamente trasferite nella Cattedrale di Tricarico, in provincia di Matera. Oggi i resti del santo sono conservati ad Armento, all’interno di una teca recante l’iscrizione:

“Sancti Vitalis Reliquiae.”

La sua prima biografia, scritta in greco da un monaco basiliano contemporaneo, andò perduta, ma nel XI secolo fu tradotta in latino, versione che è giunta fino a noi.

La notizia della sua canonizzazione giunse tardi a Castronovo di Sicilia, solo tra il 1660 e il 1670. Nonostante il ritardo, gli abitanti gli dedicarono una chiesa (1671) e ottennero alcune sue reliquie. Nel 1704, San Vitale fu proclamato patrono della città, sostituendo San Giorgio.

Oggi, San Vitale è venerato come patrono di Armento (PZ) e Castronovo di Sicilia (PA), due comunità gemellate. La sua festa si celebra il 9 marzo in entrambe le località e, a Castronovo, anche all’inizio di agosto. In passato, l’8 marzo si festeggiava anche il suo nipote, il Beato Elia.

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