Tra le tante figure della mistica cattolica, Suor Josefa Menéndez è una delle più misteriose. Nata a Madrid nel 1890, visse solo 33 anni, ma lasciò dietro di sé un’impressionante testimonianza spirituale.

Josefa Menendez il 16 luglio 1922, giorno dei primi voti – Wikipedia, pubblico dominio
Entrò nella Società del Sacro Cuore di Gesù nel convento di Poitiers, in Francia, e condusse una vita umile e nascosta, come tante religiose del suo tempo. Ma in silenzio, tra il lavoro quotidiano e la preghiera, diceva di ricevere visioni dirette dell’inferno, del purgatorio e della presenza di Cristo.
Le esperienze mistiche di Suor Josefa iniziarono poco dopo il suo ingresso in convento.
Non erano desiderate né cercate. Lei stessa ne parlava con timore, e scriveva solo per obbedienza alle sue superiori. I testi che oggi conosciamo, raccolti dopo la sua morte nel libro “Lui e io”, sono il frutto di quei quaderni redatti in obbedienza e con grande riservatezza.
Il nucleo più impressionante dei suoi scritti riguarda le visioni dell’inferno. Josefa racconta di essere stata “trasportata” in quel luogo, di aver sentito le grida delle anime dannate, gli insulti contro Dio, l’odore acre del fuoco, il gelo della disperazione eterna. Descrive punizioni specifiche legate ai peccati commessi: lussuria, superbia, bestemmia, egoismo. Secondo quanto riportato, molte di queste anime erano persone che sulla Terra non sembravano “malvagie“, ma avevano vissuto lontane da Dio, senza pentimento.
La descrizione è cruda e diretta. Non usa mezzi termini e non addolcisce nulla. L’inferno non è un concetto vago o teologico, ma un’esperienza concreta e lacerante.
Accanto alle visioni dell’inferno, Josefa racconta anche del purgatorio. Qui le anime non sono disperate, ma sofferenti in attesa della purificazione. Molte di loro, dice, sono sorrette dalla speranza e dalla preghiera dei vivi. La sofferenza è reale, ma temporanea, e serve a rendere l’anima degna di entrare alla presenza di Dio.
In tutte le sue visioni, un tema ricorre: la misericordia. Josefa insisteva sul fatto che nessuno va perduto “perché ha peccato“, ma solo se rifiuta consapevolmente la misericordia di Dio. Ogni anima, fino all’ultimo istante, ha una possibilità di tornare a Lui.
Suor Josefa non cercò mai attenzione né notorietà. Non era una scrittrice, non era una mistica da salotto. La sua giornata era fatta di lavori semplici, preghiera, silenzio. Fu proprio questa umiltà radicale a colpire le consorelle e i superiori. Le sue visioni non la resero “speciale“, anzi: diceva di essere stata scelta proprio per la sua pochezza, come strumento per trasmettere un messaggio.
Morì nel 1923, senza che il mondo sapesse nulla di lei. Solo in seguito, le sue note e i suoi diari vennero raccolti e pubblicati. Il libro “Lui e io“, tradotto in molte lingue, ha circolato soprattutto tra i fedeli legati alla spiritualità del Sacro Cuore.
La figura di Suor Josefa resta controversa. Le sue visioni non sono state riconosciute ufficialmente dalla Chiesa, e non è mai stata avviata una causa di canonizzazione. Tuttavia, molti sacerdoti, teologi e fedeli continuano a leggere i suoi scritti come una testimonianza forte e scomoda.
In un’epoca in cui il linguaggio della fede tende spesso a smussare gli angoli, Josefa ricorda una realtà più netta: per chi crede, l’esistenza dell’inferno e la lotta tra il bene e il male non sono concetti astratti. Sono una parte viva della fede.
La sua figura continua a suscitare interesse, soprattutto tra coloro che cercano nella mistica cattolica un richiamo alla serietà della vita spirituale.
In un’epoca in cui si tende a edulcorare ogni aspetto della fede, Suor Josefa ricorda qualcosa di scomodo ma essenziale: per chi crede, l’inferno non è solo una metafora, e la salvezza richiede una risposta concreta.
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vedi anche:
- Appunti sul Purgatorio
- Renato Baron racconta la visione del Purgatorio
- Suor Maria della Croce ed il manoscritto del Purgatorio
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