Nell’antico mondo greco, la corsa dei cocchi era non solo uno spettacolo sportivo tra i più amati, ma anche un rituale carico di valenze sacrali e simboliche. In questo contesto prende forma la figura del Tarassippo, il “colui che spaventa i cavalli”, un’entità demoniaca o spettrale alla quale venivano attribuiti i tragici incidenti che spesso funestavano le gare equestri.

Lido (attr.), anfora panatenaica, Firenze, Museo archeologico, 97779 – Wikipedia, pubblico dominio

Il nome Tarassippo designava anche un punto preciso della pista: una statua arcaica, probabilmente regale, posta in corrispondenza della prima curva, dove gli aurighi dovevano compiere una manovra pericolosa nel tentativo di sorpassare i rivali. I cavalli, ignari del percorso e turbati dalla presenza della statua o da ciò che essa rappresentava, si impennavano o esitavano, causando rovinose cadute. Secondo alcune fonti, era proprio in quel punto che si compivano anche rituali di morte o sacrifici regali, rimuovendo con astuzia i perni metallici delle ruote per provocare la rovina dell’auriga designato, spesso un interrex o un re ormai giunto al termine del proprio mandato sacro.

Attorno alla figura del Tarassippo si intrecciano numerose leggende locali. Una delle più note è quella che lo identifica con lo spirito inquieto di Ischeno, un eroe sacrificato per placare una carestia. Dopo la sua morte, gli abitanti di Olimpia avrebbero innalzato la sua tomba nei pressi della pista.
Si raccontava che proprio in quel luogo, durante le gare, i cavalli si agitassero misteriosamente, quasi percepissero la presenza di un’influenza invisibile. Alcuni attribuivano l’effetto spaventoso alla sua anima errante, altri a un alloro che cresceva nei pressi della tomba e che, agitandosi al vento, provocava il panico tra gli animali.

Enomao e Mirtilo su un carro, bassorilievo, Metropolitan Museum. – Wikipedia, pubblico dominio

Un’altra tradizione collega il Tarassippo all’oscura figura di Mirtilo, l’auriga di Enomao, re di Pisa.
Traditore e artefice della rovina del suo signore, Mirtilo rimosse i chiodi metallici dal cocchio del re, sostituendoli con perni di cera, affinché Pelope,  promesso sposo della figlia di Enomao, potesse prevalere nella corsa. Il piano ebbe successo: il cocchio del re si spezzò, i cavalli lo travolsero e lo uccisero. Secondo un’altra versione, fu Anfione a donare a Pelope un talismano che, sepolto presso il luogo della curva maledetta, causò l’impennata dei cavalli reali. In punto di morte, Enomao maledisse Mirtilo, chiedendo agli dèi che perisse per mano di colui che aveva favorito: e così fu. Dopo la vittoria, Pelope fece precipitare Mirtilo in mare, condannandone lo spirito a vagare eternamente nell’ippodromo di Olimpia. Gli aurighi, temendo la sua presenza, gli offrivano sacrifici prima delle gare, nel tentativo di placare la sua vendetta e scongiurare disgrazie.

Il fenomeno del Tarassippo non era limitato a Olimpia. La sua presenza veniva segnalata in numerose altre località della Grecia, come Tebe e Iolco, indizio che le corse mortali e i rituali connessi erano diffusi in più regioni.
In ogni caso, il Tarassippo incarnava la minaccia sempre latente del caos, dell’errore e della morte in un contesto dove abilità e destino si intrecciavano indissolubilmente.

Una nota a parte merita l’ombra di Glauco, figlio di Sisifo, che secondo il mito antico continuava a infestare l’istmo di Corinto. Glauco, abile auriga istruito dal padre, perse la vita durante i Giochi Istmici: non solo venne travolto dal suo stesso cocchio, ma fu orrendamente sbranato dalle sue cavalle, divenute improvvisamente furiose. La sua anima, dicono i racconti, si aggira ancora tra le curve della pista, divertendosi a terrorizzare i cavalli dei concorrenti. Anche lui, come gli altri Tarassippi, simboleggia la vendetta degli spiriti traditi e la potenza indomabile del fato nei giochi degli uomini.

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