La Tyche di Antiochia. Marmo, copia romana di un originale in bronzo greco di Eutychides del III secolo a.C. ,Musei Vaticani – Wikipedia, pubblico dominio

Tiche, o Tyche, era la divinità greca che presiedeva alla fortuna, alla prosperità e al destino.
Secondo alcune tradizioni, era una delle Oceanine, figlie del titano Oceano e della titanide Teti; altre fonti, invece, la indicano come figlia di Ermes e Afrodite.
Curiosamente, Tiche non ha un proprio mito distintivo né è protagonista di leggende, ma la sua figura è ricca di simbolismi.

La dea veniva solitamente rappresentata come una donna nuda con gli occhi bendati, che reggeva una cornucopia rovesciata, dalla quale spargeva casualmente abbondanza o scarsità. Talvolta veniva raffigurata con Pluto, dio della ricchezza, tra le braccia. In alcune rappresentazioni era cieca e calva, per impedire che qualcuno potesse trattenerla, e dotata di ali ai piedi, a simboleggiare la rapidità con cui sfugge. La sua iconografia includeva anche una ruota che girava incessantemente (la Ruota della Fortuna), sulla quale posava un piede, mentre l’altro restava sospeso in aria, simbolo della sua natura instabile e imprevedibile.

Tiche rappresentava sia la buona che la cattiva sorte. Inizialmente venerata come protettrice del benessere pubblico, divenne poi una personificazione del destino stesso, governando gli eventi al di fuori del controllo umano. Sebbene la sua attività fosse affine a quella delle Moire, era percepita come una divinità più benevola.

Durante l’epoca ellenistica, con il declino della fede nelle divinità più antiche, il culto di Tiche si affermò, rafforzandosi come simbolo del Destino.

Tyche, prima metà del II secolo d.C., provenienza sconosciuta, marmo – Esposizione nel Museo del Cinquantenario – Bruxelles, Belgio – Wikipedia, pubblico dominio

La dea veniva spesso associata al concetto di casualità. Si diceva che giocasse con una palla che rimbalzava, simbolo dell’incertezza nelle decisioni. Questa instabilità richiedeva cautela: chi si vantava della propria fortuna o trascurava di ringraziare gli dèi poteva attirare l’ira di Nemesis, la giustizia divina.
Nemesis bilanciava la buona sorte con eventi avversi, in un atto di armonia universale che regolava il mondo.

Ignorata da Omero, Tiche è menzionata da Esiodo e divenne particolarmente importante nell’età ellenistica. Le città greche spesso le dedicavano culti specifici, raffigurandola con una corona a forma di mura cittadine. Ad Antiochia e Alessandria, era venerata come protettrice delle città. Il suo culto si diffonde dal V secolo a.C., e una delle rappresentazioni più celebri è la “Tiche di Antiochia“, scolpita dallo scultore Eutichide.

Con l’espansione dell’influenza greca, Tiche fu assimilata dai Romani sotto il nome di Fortuna, dea del Caso e del Destino. Fortuna era considerata portatrice di fertilità e prosperità, e le si attribuiva come figlia la Necessità.

La sua venerazione risaliva a epoche precedenti alla fondazione di Roma, sebbene il re Servio Tullio fosse indicato come promotore del suo culto. Si narrava che Fortuna avesse amato il re, nonostante fosse un mortale, e una statua di Servio Tullio si trovava nel suo tempio.

Albrecht Dürer – La piccola Fortuna – incisione, British Museum – Wikipedia, pubblico dominio

La figura di Fortuna si evolve ulteriormente nel Medioevo, rappresentata con una cornucopia e un timone, per indicare il suo potere di guidare la vita degli uomini. Spesso era raffigurata cieca, seduta o in piedi, simboleggiando l’imprevedibilità della sorte. Aristotele la definì come una causa accidentale, legata a eventi che non avvengono né sempre né per necessità. Severino Boezio, nel suo “De Consolatione Philosophiae“, paragonò Fortuna a una ruota che alterna momenti favorevoli e sfavorevoli, evidenziando la sua natura inesorabilmente legata alla casualità.

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