Chi furono i primi abitanti di questa terra, nata dall’unione di fuoco e mare? Probabilmente si trattava degli stessi antichi popoli della Campania, come gli Opici o Osci, figure quasi mitiche di cui si conosce poco, dato che le origini e le migrazioni dei popoli restano ancora avvolte nel mistero.
La glottologia comparata ha solo iniziato a sollevare il velo su queste antiche civiltà. È plausibile immaginare che fossero individui fieri e selvaggi, forgiati dalla durezza delle montagne e dei massi da cui discendevano, vivendo di predazione per mare e per quelle terre sempre desiderate dai conquistatori.
Anche qui, sul confine della storia, incontriamo il mito. Omero racconta che Nausitoo, primo re dei Feaci, era legato da parentela con Eurimedonte, sovrano dei Giganti, i quali, secondo Strabone, furono i più antichi abitanti dei campi flegrei.
Secondo la tradizione, Liparo, figlio di Ausone, partì dalla regione flegrea e raggiunse le isole che da lui presero il nome; qui fu Eolo a riportarlo in seguito a Sorrento.
Gli Enotri, invece, si spinsero dalle fertili terre campane verso il sud d’Italia, mentre i Cimmeri, descritti da Omero come un popolo immerso nell’eterna oscurità, migrarono verso terre illuminate dal sole e dal fuoco. Fu Dedalo, presso l’antro della Sibilla cumana, a scavare per loro dimore sotterranee, dando forma a un mondo segreto.
Le leggende si intrecciano e proseguono sotto i nomi degli Ausoni, degli Enotri, dei Cimmeri e di altre popolazioni che sembrano quasi uscite dalla fantasia dei poeti, ma che, in realtà, costituivano le maglie di una rete umana che si diffondeva attraverso il mondo.
Storia e leggenda sono strettamente collegate: la leggenda, come osservò Waiblinger, è “la gioconda primavera della storia”.
I Feaci erano probabilmente della stessa stirpe dei Fenici, e numerosi resoconti antichi concordano nel dire che questi ultimi, avventurieri del mare, fondarono scali e centri commerciali sulle coste del Tirreno, tra cui Cuma. Tuttavia, quando gli Enotri iniziarono a molestarli, i Fenici si trasferirono nelle isole vicine al golfo che prese il nome proprio da Cuma.
Ma dove si trovava esattamente la leggendaria terra dei Feaci, la fertile e meravigliosa Scheria cantata da Omero?
Nel 1906, Champault pubblicò un’opera in cui attribuiva a Ischia il prestigio di essere il luogo in cui Ulisse, naufrago, sarebbe stato accolto dalla bella Nausicaa e ospitato nella reggia di Alcinoo, che gli fornì le navi per fare ritorno a Itaca.
Sebbene Champault proponga argomenti affascinanti e molti paralleli eruditi, sembra affannarsi nel tentativo di trovare nell’isola indizi più significativi di quanto realmente vi si possa osservare o dedurre.
Tuttavia, l’impossibilità di individuare con precisione la Scheria non implica che tutto sia pura invenzione poetica. L’Odissea non è solo frutto dell’immaginazione: Ulisse non viaggia per terre sconosciute. Si parla, piuttosto, delle coste del Tirreno, risuonate dai canti delle ninfe dalle chiome ondeggianti, delle spiagge di Baia, dove Ulisse scende nell’Averno per interrogare l’ombra del tebano Tiresia e chiamare lo spirito della madre, per sapere di Penelope, Telemaco e del vecchio Laerte.
E tra Sorrento e Capri si ergono i pericolosi scogli delle Sirene, dove nessun navigante resisteva alle allettatrici «nelle cui acque non giunse mai nocchiero senza gustarne la dolcezza»
Su queste coste approdarono i Fenici, e ancor prima altre popolazioni; questi luoghi divennero colonie degli Elleni, i quali, lasciando l’Ellade, fornirono le basi per la creazione dell’epica omerica. Omero non era geografo, ma un cantore, un artista che, attraverso l’immaginazione, trasformava il mondo reale in una visione pregna di bellezza.
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