Secondo gli studi più recenti, Gesù Cristo fu crocifisso il venerdì 7 aprile dell’anno 30 d.C., all’età di circa trentasette anni. Questa data, oggi ritenuta la più probabile dagli storici, corregge l’antico calcolo del monaco Dionigi il Piccolo (Dionysius Exiguus) che, nel VI secolo, aveva posto la nascita di Cristo nell’anno 753 “ab Urbe condita” — ovvero cinque anni più tardi rispetto a quanto oggi si ritiene.

Gli stessi Vangeli ci testimoniano che la morte di Cristo avvenne nel giorno della Parasceve, ovvero il venerdì di preparazione alla Pasqua giudaica.
Era il 14 del mese di Nisan nel calendario ebraico, giorno in cui gli agnelli pasquali venivano immolati. Sovrapponendo questa informazione alla cronologia solare, si giunge a una coincidenza precisa: venerdì 7 aprile dell’anno 30.

Rembrandt – L’innalzamento della croce – Wikipedia, pubblico dominio

Il Venerdì Santo, la Chiesa non celebra messe: le campane tacciono, gli altari sono spogli, le luci si fanno più fioche. È il giorno del silenzio e del dolore, in cui il cristiano contempla il mistero della Croce, centro della fede. Gesù, l’Innocente, è inchiodato al legno del supplizio, caricato del peso del peccato del mondo. Non c’è abbandono che non abbia conosciuto, non c’è dolore che non abbia assunto.

Annibale Carracci – Cristo morto – Wikipedia, pubblico dominio

Eppure, anche in questo giorno di lutto, la speranza non muore. Essa resta accesa come una brace sotto la cenere. Perché la Croce non è l’ultima parola: è passaggio, è sacrificio redentivo, è soglia oltre la quale già s’intravede la luce del mattino di Pasqua.

Piero della Francesca – La risurrezione di Gesù Cristo, 1463. – Wikipedia, pubblico dominio

La Resurrezione è l’atto finale di questa via dolorosa, e ci viene promessa come compimento del mistero: dalla morte scaturisce la vita, dal buio la luce, dal dolore la redenzione.

Venerdì Santo è allora il giorno del dolore che redime, del silenzio che parla, della morte che si fa grembo di vita eterna.

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