Il 19 settembre 1877, Antonino Salinas ringraziò l’avvocato Ferdinando Gaudiano per aver donato al Museo Nazionale di Palermo un “magnifico pezzo di basalto con iscrizioni geroglifiche egiziane“. Salinas sottolineò l’importanza di tale dono, considerando che il museo era carente di reperti di questo genere, difficilmente rintracciabili in Sicilia.
L’origine della stele resta avvolta nel mistero. Alcuni ritengono che sia stata acquistata sul mercato antiquario, mentre altri ipotizzano che Ferdinando Gaudiano l’abbia ereditata dal padre. Vi sono indizi che suggeriscono una provenienza da Alessandria d’Egitto, città in cui la famiglia Gaudiano possedeva numerosi interessi commerciali.
Già all’epoca, la pietra non era un oggetto sconosciuto. Anni prima, il famoso orientalista palermitano Michele Amari aveva inviato copie delle iscrizioni all’egittologo francese Emmanuel de Rougé, che le utilizzò per i suoi studi e la definì “Pietra di Palermo”, nome con cui è tuttora conosciuta. Tuttavia, la reale importanza del reperto fu compresa pienamente solo dall’egittologo H. Schäfer, che, insieme a L. Borchardt e K. Sethe, elaborò le prime ipotesi sulla sua origine.
Nel 1903 furono scoperti tre frammenti aggiuntivi. Uno, usato come fermaporta, risultava danneggiato; un altro fu rinvenuto durante scavi a Menfi.
Nel 1914, Flinders Petrie acquistò un quarto frammento sul mercato antiquario. Questo pezzo, oggi conservato al Petrie Museum of Egyptian Archaeology di Londra, riporta informazioni su sovrani come Khasekhemui (II dinastia) e Nebmaat (IV dinastia). Un quinto frammento, acquistato nel 1963, si trova invece al Museo Egizio del Cairo.
Ma cosa rappresentava originariamente la Pietra di Palermo? Si trattava di un annale reale, un documento di valore sia sacrale sia politico. Da un lato, il faraone che commissionò la stele sanciva un ordine cronologico sugli eventi, conferendo al suo regno un ruolo centrale nel tempo cosmico. Dall’altro, selezionando e registrando eventi significativi, consolidava la legittimità del suo potere dinastico e sottolineava il mandato divino alla base del suo governo.
Questa pratica è coerente con le intricate vicende della V dinastia, caratterizzata da passaggi di potere poco chiari. Il fondatore della dinastia, Userkaf, non sembra avere legami diretti con i sovrani precedenti, e la stessa ascesa al trono di altri faraoni, come Niuserra, risulta avvolta nell’incertezza. Niuserra, in particolare, divenne faraone da bambino, probabilmente grazie all’influenza della madre, la regina Khentkaus II.
È plausibile che durante il suo regno abbia voluto rafforzare le sue pretese dinastiche attraverso un’operazione di legittimazione storica, commissionando una cronologia ufficiale delle dinastie precedenti.
La stele, originariamente, copriva un arco di circa 700 anni. Era suddivisa in fasce orizzontali, ognuna contenente una serie di scomparti verticali con iscrizioni geroglifiche. La fascia superiore del recto elencava i nomi dei sovrani predinastici, spesso immaginari, sebbene alcuni siano stati associati a re delle dinastie Naqada III, risalenti al 3500-3150 a.C. Negli altri registri, ogni scomparto era separato da un geroglifico indicante “anno”, e recava il nome del sovrano, quello della madre e il livello annuale della piena del Nilo.
Gli eventi registrati nei geroglifici variavano, includendo fatti salienti per caratterizzare ogni anno. Mentre le prime file contenevano singole colonne di scrittura per scomparto, le ultime erano più ampie e registravano più informazioni. Sul verso della pietra, gli scomparti diventavano progressivamente più grandi, consentendo di includere una maggiore quantità di dettagli sugli avvenimenti.
.
,